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domenica 6 novembre 2016

“In guerra per amore” in modo brioso descrive l’origine del sopravvento mafioso in Sicilia e in Italia

Titolo: In guerra per amore
Regia: Pif (Acronimo di Pierfrancesco Diliberto)
Soggetto: Pif, Michele Astori
Sceneggiatura: Michele Astori, Marco Martani, Pif
Produzione Stato:  Italia 2016

Cast: Pif, AndrEA Di Stefano, Sergio Vespertino, Maurizio Bologna, Miriam Leone, Samuele Segreto, Stella Egitto, Antonello Puglisi, Vincent Riotta, Maurizio Marchetti, Orazio Stracuzzi, Mario Pupella, Lorenzo Patanè, Aurora Quattrocchi, David Mitchum Brown, […]
Nel pieno della seconda guerra mondiale, quando l’esercito tedesco aveva già occupato quasi tutta l’Europa, il presidente statunitense  Franklin Roosevelt decise di fare intervenire, assieme alle truppe alleate, l’esercito americano per debellare il pericolo nazista. Il punto prescelto, non a caso, fu la costa meridionale della Sicilia. Era il 10 luglio 1943. Al fine di facilitare lo sbarco ed evitare grande spargimento di sangue dei propri soldati, Roosevelt prese accordi con Lucky Luciano, alias Salvatore Lucania, mafioso siciliano, capo di “Cosa Nostra statunitense”, che aveva forti legami e molta influenza su “Cosa Nostra siciliana”.
In questa situazione, a New York, si svolge la storia sentimentale del giovane siciliano Arturo Giammaresi (Pif) con Flora (Miriam Leone). Una storia però molto travagliata ed contrastata, in quanto lo zio (Orazio Stracuzzi) vuole dar la nipote in sposa a Carmelo (Lorenzo Patanè), figlio di Don Tano (Mario Pupella), un mafioso d’alto rango molto legato a Luciano. Per evitare queste nozze Arturo deve ottenere il consenso dal padre di Flora che però abita a Crisafullo, in Sicilia. L’impresa appare molto ardua data la grande distanza che separa il giovane dalla Sicilia, dove è nato. Ma come spesso avviene, per caso il giovane trova un’ottima soluzione che gli darebbe la possibilità di sposarsi Flora: Arturo va “in guerra per amore”. L’arruolamento nell’esercito americano, infatti, gli avrebbe dato l’opportunità di recarsi in Sicilia e di incontrare il padre della sua amata. Per evitare questa eventualità, allora, Don Tano ordina al mafioso locale di Crisafullo, Don Calò, di uccidere Arturo.
Pif, dopo il grande successo di pubblico e di critica  ottenuto grazie alla sua opera prima La mafia uccide solo d’estate” (2013), usando lo stesso piglio sui generis e la medesima vivacità umoristica descrive, passo dopo passo, gli eventi che trasferiscono il potere politico alla mafia e che portano conseguentemente alla liberazione dei delinquenti a cui vengono affidati posti di alto merito.
In definitiva, con il suo caratteristico linguaggio cinematografico oscillante tra il dramma e l’umorismo, Pif elegantemente trasferisce allo spettatore informazioni storiche che danno spiegazione, dalla fine della seconda guerra mondiale, dei fatti che hanno trasferito potere alla mafia e della collusione tra questa e il potere politico italiano, a tutt’oggi vigente.
Pif trova il modo divertente di raccontare questa storia nel paese inventato di Crisafullo in cui, come avviene per Vigata, il paese immaginario, dove si svolge l’attività poliziesca del commissario Montalbano, vengono assemblate immagini di luoghi diversi come il duomo di Erice che sovrasta Trapani, come la caratteristica Scala dei turchi di marna bianca nella costa meridionale siciliana, come il magnifico tempio elimo di Segesta, o come la cittadina di Realmonte. Ma dove si svolge anche la vita dei siciliani con le loro tradizioni e i loro costumi: la camicia nera che si indossa per sette anni al fine di commemorare la morte del fratello defunto, la concezione dell’illibatezza femminile la cui trasgressione comporta disonore imperituro e l’impossibilità di contrarre matrimonio, il raccomandarsi ai santi per avere un privilegio personale come la salvaguardia della vita, la grande ospitalità nei confronti del forestiero al fine di avere ricambiato il favore, servirsi di un cieco per vedere ciò che chi vede non ha facoltà di vedere, e così via.
In definitiva, Crisafullo rappresenta la Sicilia, pari a quella descritta nel romanzo “I sassi di Kasmenai” (ed. Il foglio): “La Sicilia, un’isola, una terra martoriata dalle colate laviche del vulcano “buono” Etna, dai continui terremoti e qualche volta dai maremoti, dalle frequenti invasioni di popoli non autoctoni da più di tremila trecento anni, dai Siciliani stessi.
La Sicilia è stata sempre una terra fertile, bella e arcigna nel frattempo, fascinosa e attraente, misteriosa e arcana, emozionante, incantevole, fruttifera, rigogliosa, facilmente raggiungibile da qualunque regione che volge le sue rive sul mar Mediterraneo, certamente sin da tempi remoti per la sua posizione geografica. E  per questa sua peculiarità essa è stata sempre ammirata e invidiata, desiderata e soprattutto spogliata dei suoi averi. Diverse leggende descrivono la trasformazione di questa terra fertile in un luogo arido e infecondo o le ruberie che essa ha sofferto continuamente. ….
Il fascino dei luoghi siciliani, in particolare di quelli in cui Ciccio è vissuto dalla nascita fino alla giovinezza, è stato descritto inquadrando, come un dipinto in una cornice, le immagini e i colori visti e vissuti e gli olezzi odorati e respirati, i quali però non possono essere percepiti così come realmente essi sono. Non esistono, infatti, parole che possano suscitare, nell’animo di chi legge, le emozioni, le palpitazioni, i tremori passionali, gli stati d’animo che soltanto chi vede, chi tocca e chi nasce e vive in quella terra può provare; non esistono parole che possano far odorare la miscellanea di profumi, di olezzi, di aromi che solo le nari possono fare apprezzare; non esistono parole che possano descrivere i colori, le immagini, i luoghi che soltanto attraverso gli occhi di chi li guarda possono far emergere la loro eccezionale singolarità. … Le continue invasioni, senza soluzione di continuità, hanno senza dubbio arricchito culturalmente il popolo siciliano che ogni volta ne ha tratto caratteri particolari e grandi benefici. Quella siciliana è, infatti, una cultura, dalle mille sfaccettature e dai connotati singolari, che si mostra in tutte le opere d’arte, sparse ovunque, da est ad ovest e da nord a sud dell’isola, che sono rimaste visibili all’occhio del visitatore; tale cultura si manifesta anche nella grande ricchezza dell’arte culinaria, e si esprime con l’ineguagliabile cordialità e l’innata ospitalità insite nel carattere del siciliano. Purtroppo il soggiacere continuo al dominio di tutti quei popoli non ha fatto acquisire ai siciliani un amor proprio, un’identità propria, il desiderio di lottare, tutt’altro.”
Francesco Giuliano

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