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lunedì 28 dicembre 2015

“Perfect day” descrive la complicanza umana delle cose semplici e banali

Titolo: Perfect day
Titolo originale: A Perfect Day
Regia: Fernando León de Aranoa
Soggetto: Tratto dal romanzo Dejarse Llover di Paula Farias
Sceneggiatura: Paula Farias, Fernando León de Aranoa
Produzione Stato: Spagna 2015

Cast: Benicio Del Toro, Tim Robbins, Melanie Thierry, Olga Kurylenko, Fedja Stukan, Eldar Residovic, Sergi López,  Nenad Vukelic, […]
Metti un pozzo, un cadavere e una corda in un Paese della ex Jugoslavia durante l’epilogo della guerra del 1995 e si ha una giornata perfetta, “A Perfect Day”, una di quelle giornate in cui nessuna azione intrapresa, se pur facile, va per il verso giusto. Tutto inizia con il tentativo di rimozione di un grosso e pesante cadavere di un uomo gettato in un pozzo d’acqua e la lacerazione della corda utilizzata per il prelevamento del corpo prima che questo fosse concluso. Tentativo compiuto da una squadra composta da quattro volontari umanitari che vogliono portare sostegno morale e materiale alla disastrata popolazione del luogo, ma che si trasforma ben presto in un’avventura, che viene descritta in modo ironico ma al tempo stesso attendibile ed equilibrato. Il gruppo è capeggiato dall’affascinante Mambrù (Benicio Del Toro) a cui fa da spalla il satirico signor B (Tim Robbins) e l’idealista francese Sophie (Melanie Thierry) a cui si aggiunge successivamente la bellissima e disinvolta Katia (Olga Kurylenko). Attorno a quei  tre sostantivi - pozzo, cadavere e corda - il bravo regista pluripremiato, quarantasettenne, Fernando León de Aranoa, al suo sesto film, costruisce un intreccio bellissimo, che fa divertire ma al tempo stesso commuovere e riflettere, tessendo magistralmente i fili, che purtroppo si aggrovigliano, attorno ad una situazione semplice ed umanitaria a causa della stupidità umana, origine di tutti i mali del mondo. Come è nel suo stile, infatti, il regista partendo da una situazione a dir poco insignificante riesce ad evidenziare in modo mirabile la cattiveria, l’invidia, lo spirito di sopraffazione, la violenza, gli interessi, gli affari, la supremazia del dio denaro, le diatribe inconcludenti e le guerre fratricide dell’essere umano. Una miscellanea di non valori che rendono complicato, anzi impossibile il raggiungimento di un obiettivo se pur semplice e banale, e che ci fa capire come vanno le cose al mondo.
Perfect Day è stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2015 ed ha ottenuto la Candidatura per l’Art Cinema Award dell’Hamburg Film Festival 2015 e la quinta preferenza dal pubblico al Melbourne International Film Festival 2015.

Filmografia
Familia (1996), Barrio (1998), I lunedì al sole (2002), Princesas (2005), Amador (2010).
Documentari: Refugiados (1995), Caminantes (2001), Invisibles (2007, doc. collettivo).
Francesco Giuliano

giovedì 24 dicembre 2015

“Franny” o sugli effetti di un’amicizia traboccante

Titolo: Franny
Titolo originale: The BenefactorRegia: Andrew RenziSoggetto: Andrew RenziSceneggiatura: Andrew RenziProduzione Stato: USA 2015Cast: Richard Gere, Dakota Fanning, Theo James, Marko Caka, Clarke Peters, Brian Anthony Wilson, Andrea Havens, Maria Breyman, Dennisha Pratt, Erica Cho, Lyssa Roberts, […]


“Franny è un film indipendente, opera prima di Andrew Renzi che , avendone scritto anche il soggetto e la sceneggiatura, denota già il talento di un grande regista.
Renzi dirige, infatti, magistralmente Richard Gere nei panni del protagonista Franny, un uomo bizzarro e complicato, perseguitato dai sensi di colpa che cerca di alleviare affidandosi alla droga, all’alcool ma, quel che è strano, è che si comporta da grande  benefattore. La sua filantropia non dimostra limiti.
Egli dà continuamente più di quanto gli altri si aspettano, dona ciò che gli fa piacere e soprattutto ama. Ama Olivia (Dakota Fanning), la figlia dei suoi più cari amici morti tragicamente in un incidente stradale procurato da lui stesso, ama Luke (Theo James) il marito di Olivia a cui procura il posto di medico presso l’ospedale pediatrico di cui lui è amministratore e proprietario, e ama soprattutto i bambini infermi, ricoverati nello stesso nosocomio.
In questo suo agire, tuttavia, Franny mostra una grande incoerenza che è anche una metafora dell’azione umana. Effettivamente, da un lato egli mostra l'amicizia, nel senso ciceroniano, cioè avulsa dall’interesse e dall’utilitarismo, cioè l’amicizia come sentimento umano, genuino e sincero, che lo induce a realizzarsi, cioè a percepire negli altri se stesso e ad aiutarli nel momento del bisogno (Amicus certus in re incerta cernitur) manifestando così una grande integrità morale. Dall’altro lato usa l’amicizia in senso epicureo: Franny si comporta così perché nel suo dare instaura un rapporto che gli possa apportare una certa “utilità”, cioè l’amicizia intesa non solo in senso materiale ma anche psichico e affettivo. In tal caso, il rapporto interpersonale diventa anche una richiesta di bisogno da ricambiare con forza, un do ut des, ed entrano in gioco la prevaricazione o un tentativo di plagio, e l’amicizia diventa un legame doloroso e insopportabile. Richard Gere dimostra, con questa interpretazione che lascia col fiato sospeso, di essere un attore molto bravo e poliedrico, di grande sensibilità e maturità interpretativa, che riesce, nel contempo, a fare amare e odiare Franny senza soluzione di scelta.  Il film è stato presentato al Tribeca Film Festival, che fu fondato dopo l’11 settembre 2011 dall’attore Robert De Niro.
Francesco Giuliano



domenica 10 maggio 2015

“L’albero di Giuda” o sul tradimento evangelico della Sicilia

Titolo: L’albero di Giuda
Regia e soggetto: Vito Cardaci
Voce narrante: Vito Cardaci, Rosario Marco Amato
Editing: Charry project studio
Montaggio e post produzione: ch@rry project studio – Vito Cardaci
Produzione Stato: Italia, 2014
Durata: 40′
Genere: Docufilm


Una leggenda racconta che Giuda si sia impiccato con una corda ai rami di un albero. Da quel giorno il tronco avrebbe assunto un andamento contorto. La fioritura improvvisa preceduta dall’aprirsi delle foglie vorrebbe così raffigurare le lacrime di Cristo. Il colore acceso dei fiori vorrebbe rappresentare la vergogna dell’albero o forse la perfidia di Giuda. Sì! Sono proprio io, l’albero di Giuda! – dice la voce narrante. Non poteva esserci migliore incipit di questo cortometraggio che, con la metafora de “L’albero di Giuda”, racchiude ed esprime, in modo estremamente sintetico e chiaro ma profondamente e sentimentalmente  incisivo, a tratti poetico, una verità autentica e inviolabile che è quella della Sicilia ancora una volta tradita e vilipesa e non potrà mai essere messa in dubbio! Il film prende inizio da un carrubo, piantato  come prima pietra per la realizzazione a Regalbuto, in provincia di Enna, di una grande opera faraonica, “il più grande parco di divertimenti d’Europa, la Disneyland siciliana, che doveva sorgere su un’area di circa trecento ettari, alberghi con migliaia di posti, ristoranti, discoteche …” e chi più ne ha più ne metta. Cioè a dire “… l’emblema del più grande investimento privato dell’isolanel settore del turismo”. Il regista Vito Cardaci, con una descrizione ironica  e sarcastica, mette in evidenza magistralmente il tradimento politico nei confronti della Sicilia, dove il dissesto sociale, la saccenteria, l'indifferenza, il trasporto populistico, l’egoismo, la superficialità e la mediocrità padroneggiano. In quest’evento eccezionale carrubo quanta bella gente intervenne: “… si scomodarono le più alte cariche istituzionali: ministri, presidenti, prefetti, sindaci, cardinali, generali, giornalisti, portaborse e ombrose figure provenienti da ogni dove. Credo che neppure quando venne al mondo Gesù bambino si vide questa confusione”. Una commedia, la solita, dunque, da cui emerge il consolidato assioma gattopardesco che con ima amarezza fa cogliere e apprezzare l'impossibilità di cambiare lo status quo della Sicilia e dei siciliani che accaniti creduloni si affidano continuamente alle parole dei politici di turno, quelle stesse che sono decantate nella poesia “Parole”[1]: Parole, parole, parole,/ verbi come vento/ fastidiosi come Noto/ pari ad Apeliote insopportabili/ piacevoli gemelli di Euro/ frizzanti simili a Borea/ come Zefiro ammalianti./ E, molesti,/ insoffribili,/ incantevoli,/ freschi,/ seducenti,/ come il vento volano via,/ inghiottiti da Kaos,/ trasportati non si sa dove./ E non rimane che lo sconforto/ di quel sogno che portano con sé”. Parole espresse da una classe politica di stampo baronale, arcaica, cinica e opportunista che usa il populismo come mezzo di trasporto delle coscienze e di illusione sociale e che dà ipocritamente speranza al fine di rendere schiavo il popolo: “Non c’è schiavitù migliore che essere prigionieri della speranza, perché “... sperare, per definizione, non significa essere felici, bensì essere in attesa, provare la mancanza, il desiderio insoddisfatto e impotente: “sperare è desiderare senza godere, senza sapere, senza potere”. Senza godere,  perché  spera soltanto  quello che non si ha; senza sapere, perché la speranza implica  sempre  una certa dose d’ignoranza rispetto alla realizzazione dei fini desiderati; senza potere, dato che nessuno si sogna di sperare ciò che gli è dato di realizzare pienamente … . La speranza non solo ci mette  in uno stato di tensione negativa,  ma ci priva anche del presente: preoccupati di un  avvenire migliore, dimentichiamo che l’unica vita  che valga la pena di essere vissuta, la sola che, molto semplicemente,  esista, è quella che si svolge  sotto i nostri occhi, qui e ora”[2].
Il regista Vito Cardaci antropomorfizza il carrubo per dire con convinzione che “sembra proprio che senza il mito, la simbologia, la metafora sia quasi impossibile narrare certe storie. La realtà però è molto più semplice e immediata, meno incomprensibile di come possa apparire. Bastava osservare dove mi avevano piantato”, in un ambiente in cui predominano la “ … noia e il silenzio, di vita che non scorre, …”  e dove “non si dovrebbe invecchiare incazzati!”
Eccezionale e pesante come un macigno l’epilogo del film con cui il regista rivolgendosi agli spettatori chiede: “Vi siete mai chiesti come sarebbe stata la storia di Cristo senza la figura di Giuda?” La risposta ai posteri.
Ci sono voluti quasi sette  anni per ordinare le idee e realizzare le riprese di questo docufilm che racconta l’artificio consapevole,e per questo ancor più greve, del tradimento politico perpetrato ai danni della Sicilia e dei siciliani, a partire dai tempi di Cuffaro, fino ad arrivare ai giorni nostri. A narrarlo è un albero, un Carrubo. Una narrazione sarcastica, avvincente e, a tratti, drammatica che racconta, in parte, anche "il decantato modello Enna, quello di Mirello Crisafulli e di Cataldo Salerno ex Presidente della provincia regionale di Enna."
L’albero di Giuda” è stato vincitore al “Bari International Film Festival” 2014  con la seguente motivazione che la giuria popolare, presieduta da Achille Bonito Oliva, ha dato il 9 aprile 2014 del premio “Vittorio De Seta”: “Per ritmo, ironia, linguaggio e capacità di denuncia. Un’opera che racconta in maniera icastica l’arte del tradimento politico nei confronti di una realtà staccata dal continente e insulare, la Sicilia. Una regione che non è soltanto un’entità geografica, ma un luogo che ha subito indifferenza, populismo e un fallimento sociale legato al cinismo di una classe padronale arcaica. Il film ha la capacità di evidenziare una negatività ancestrale attraverso uno sguardo ironico, secondo la definizione di Goethe: ‘L’ironia è la passione che si libera nel distacco’. Tale distacco produce comunicazione e denuncia nello stesso tempo”.
Un film, in definitiva che non solo i siciliani, ma anche gli italiani dovrebbero vedere per non perdere la memoria di ciò che viene promesso dai politici di turno e mai realizzato.

Vito Cardaci, siciliano cinquantenne, www.vitocardaci.com, inizia come musicista,ma l’amore per la fotografia lo porta a dedicarsi al multimediale tant’è che nel 2005 realizza il suo primo corto “Sono Una Donna” un video virale che impazzerà in rete con oltre 500.000 contatti nel giro di un anno. Nel 2007 produce e cura la fotografia nonché le riprese del documentario “Umanza” premiato al Torino Film Festival e al Festival Internazionale del Cinema dell’Uruguay 2008: “Italia: Los Primos de Torino 2007”. Nel 2008 e nel 2009 cura la regia come reporter del Festival “Sole Luna”, un ponte tra le culture. Nel 2010 entra come reporter ufficiale nello staff del Salina Doc Fest diretto da Giovanna Taviani. Nel 2011 Produce e dirige “Saturday Night Fear” un corto, che lo stesso regista definisce un mero esercizio di stile.
Francesco Giuliano




[1] F. Giuliano, M’accorsi d’amarti, Libreria editrice Urso, 2014 
[2] Da Luc Ferry, Al posto di Dio, Sguardi Frassinelli, come incipit a F. Giuliano, Il cercatore di tramonti, Ed. Il foglio, 2011

lunedì 4 maggio 2015

Arianna Mattioli, una brava attrice poliedrica

L’incantevole e brava Arianna Mattioli, alle soglie dei trentadue anni, ha maturato in pochissimo tempo una carriera brillante e promettente che mette in chiara evidenza  la sua spiccata poliedricità e la sua netta versatilità in campo artistico, tant’è che parla inglese e spagnolo e sa recitare in romanesco, siciliano e toscano. Infatti, dopo una formazione intensa, ricca, brillante, veramente nutrita e seriamente diversificata, iniziata nel periodo 2006 - 2007 con la frequenza della Scuola di Teatro “Teatri possibili”, in cui ha perfezionato sia la dizione che la recitazione e che ancora continua, come è nella natura di chi vuole migliorare sempre di più, Arianna ha iniziato il suo percorso di attrice di teatro, di tutto rispetto, in “Delitti esemplari” (2007) dello scrittore spagnolo Max Aub, con la regia di Francesco Sala e Viola Pornaro. Ha proseguito, nel 2008, recitando  nel recital brechtiano “Essere amici al mondo”  per la regia di Giorgio Maulucci, in “Così fan tutte” di W. Amadeus Mozart sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti, in Wozzeck” di Alban Berg (reading inserito nel progetto “Roma per ascoltare” in collaborazione con il Comune di Roma e il Teatro dell'Opera di Roma sotto la direzione artistica di Gianluigi Gelmetti), in “Mosè in Egitto” di Gioacchino Rossini (reading inserito nel progetto “Roma per ascoltare” in collaborazione con il Comune di Roma e il Teatro dell'Opera di Roma sotto la direzione artistica di Gianluigi Gelmetti). E, nel biennio successivo, ha declamato in “Ricordo dov'ero quel giorno”, performance teatrale inserita nella rassegna “Cu arriva ietta vuci” a cura di Emma Dante, e in “Carmen” di George Bizet sotto la regia di Emma Dante (Fondazione “Teatro alla Scala” Milano - Direzione del Maestro Daniel Barenboim). Nel frattempo, è stata anche assistente alla regia nello spettacolo “Malamore”, scritto e diretto da Francesco Zecca, e in “Killer Joe” di Tracy Letts per la regia di Massimiliano Farau, ma anche ha affiancato nelle attività didattiche l'attrice Lina Bernardi ed è stata insegnante di dizione e recitazione presso l'Accademia di spettacolo e Comunicazione “Studio 254” di Roma. Dopo aver fatto parte del cast televisivo di “Boris 3” per la regia di Davide Marengo, è passata al cinema come interprete di “Boris. Il film” diretto da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo e diDa Stella a Stella”  diretto da Toni D'Angelo.
Dal 5 maggio fino al 24 maggio è tra gli otto attori che recitano in "Nessuno muore" diretto da Luca De Bel, al “Teatro della Cometa” di Roma.

Francesco Giuliano

mercoledì 8 aprile 2015

Giulia Marlene, una brava attrice poliedrica

Giulia Marlene, catanese doc ma romana di adozione, conseguita la "maturità scientifica”, si perfeziona sia nella lingua inglese (Trinity College) che scrive e parla correttamente, sia nell’uso del mezzo informatico (patente europea) ma, al tempo stesso, animata dalla voglia di lavorare, frequenta il Corso di formazione professionale per “Operatore del Turismo Ricettivo” conseguendo la qualifica di “Animatore turistico” che le permette di acquisire esperienza nel settore con il primo Stage professionale di “Animatore Turistico per Villaggi “. Non ancora soddisfatta, presso l’Università degli Studi di Catania, alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, frequenta un corso di lingua francese che conosce discretamente. Subito dopo, segue, a Roma, un Corso di dizione e recitazione  e, a Ragusa, un Corso di teatro, per ritornare, di nuovo, a Roma a frequentare l’Accademia di Recitazione (ACT Multimedia) presso Cinecittà. Quindi ritorna nella sua Sicilia, a Ragusa, dove si scrive e segue un  Corso di canto. Recentemente ha frequentato pure un Seminario a Roma con un famoso regista.

Sulla base di questa ricca e variegata formazione, incomincia subito a lavorare svolgendo diversi incarichi diversificati, tra cui pubbliche relazioni, in qualità di hostess per ricevimenti, congressi, sfilate di moda, e altri eventi presso vari Comuni siciliani, e anche collaborazioni con un’agenzia di assicurazioni  e con negozi di abbigliamento, adoperandosi pure come animatrice presso Villaggi turistici. Grazie alla sue competenze poliglotte e informatiche, trova impiego presso la reception di hotel e in negozi di abbigliamento di Centri commerciali e presso un’Agenzia pubblicitaria. Contemporaneamente  viene a vivere, per la sua poliedricità recitativa e per il suo indiscutibile estro, esperienze cinematografiche in vari cast, tra cui “Il Capo dei Capi 2”, “Il Commissario Montalbano”, “L’onore e il Rispetto 2”, per citare quelli più significativi,   e  di cortometraggi vari girati presso gli studi di Cinecittà, a Roma, tra cui “Yan Fang-Assurdo(2010)-You tube”, “Salvo Nicolosi -Wolf’s Tale (2010) - on Vimeo”.  Partecipa, per la grande voglia di farsi conoscere, anche a varie sfilate di moda e a vari concorsi di bellezza tra cui “Selezioni Miss Italia” e “Miss Motors” . Tra i suoi hobbies preferiti ci sono i balli caraibici e il pianoforte. 

giovedì 15 gennaio 2015

“Italo” è un film che descrive la storia vera di un cane antropomorfizzato e che seduce

Titolo: Italo
Regia: Alessia Scarso
Sogegtto: Coralla Ciccolini e Alessia Scarso
Sceneggiatura: Coralla Ciccolini
Montaggio: Alessia Scarso
Musiche: Marco Cascone
Stato: Italia, 2015
Produttore: Roberta Trovato
Cast: Marco Bocci, Elena Radonicich, Barbara Tabita, Vincenzo Lauretta, Martina Antoci, Matteo Korreschi, Tuccio Musumeci, Lucia Sardo, Andrea Tidona, Marcello Perracchio, […] il cane Tomak e la voce narrante di Leo Gullotta
Nei dintorni di Scicli, in provincia di Ragusa, una fiorente cittadina dai bellissimi e artistici edifici in tardo stile barocco, costruiti con un raggiante e tipico tufo dorato a tratti scolpito egregiamente, per questo dichiarata patrimonio dell’UNESCO, circa sei anni fa un branco di cani randagi uccise un bambino. In quello stesso periodo, fece la sua comparsa improvvisamente a Scicli un cane meticcio dal pelo color miele, anch’esso randagio, il quale, forse per espiare la colpa della razza canina che aveva commesso l’atroce delitto, conquistò, dopo un’iniziale e comprensibile paura, la simpatia dell’intero paese fino ad esserne adottato e ad ottenerne  addirittura la cittadinanza onoraria. Un cane trattato come un essere umano, dunque! “La reincarnazione di qualcuno che ha amato Scicli”, sostiene la gente.
Questo film, opera prima della bravissima regista modicana Alessia Scarso, è tratto da un’incredibile e fantastica storia vera della vita del cane randagio Italo Barocco, che scelse la barocca via sciclitana Mormina Penna come sua dimora, dove venne accudito dai rispettivi abitanti che gli procurarono un’accogliente cuccia.  Addirittura, Italo si era “antropomorfizzato” nel modo di vivere a tal punto che andava nella chiesa di san Giovanni durante la messa, tant’è che il parroco mise un cartello sul portone d’ingresso “È vietato ai cani di entrare”. Ovviamente Italo non sapeva leggere ed entrava lo stesso. Accompagnava anche i turisti durante le visite guidate istradandoli nei luoghi più caratteristici. La sua azione più strabiliante fu quella di precedere il corteo funebre stando dinanzi alla bara di un giovane morto in un incidente stradale. Ma la cosa divertente che lasciò tutta la gente stupita fu la sua entrata in scena durante la recita della locale festa delle Milizie quando l’emiro Belcane apostrofa il conte Ruggero “Cane di un cristiano!
Italo” è una magnifica commedia piacevole e briosa, seducente ma anche commovente, piena di netto fervore e di ancestrale passione, dall’impronta romantica e dal sapore antico, che si svolge nel singolare e unico palcoscenico di uno degli angoli più ameni e attraenti della Sicilia sud-orientale, quello di Scicli e della vicina Modica, pieno di colori, sapori e odori che vagolano liberati nell’aria da “ …. cespugli di ‘spinusi ruvetta’, di ‘piru caruseddu’, di variopinto lentisco, di dolci fichi, di candida retama, di fichidindia, di oleandri fioriti, di capperi, di profumato origano, di pungente asparago e di olente timo selvatico, ottimo e antico pascolo delle api produttrici del tanto rinomato miele ibleo, e di quant’altro la natura avesse voluto far nascere …” (da I sassi di Kasmenai). Un’attrazione singolare e straordinaria per il visitatore facendolo sprofondare  estasiato in un’incantevole sogno ad occhi aperti.  “ Subito a me/ il cuore si agita nel petto/ solo che appena ti veda, e la voce/ si perde nella lingua inerte. …” è ciò che ho avvertito, esprimendomi con le parole del poeta modicano Salvatore Quasimodo, nel vedere e gustarmi questo film dal sapore autentico e sincero che racconta l’amata isola natia, la Sicilia, di cui la regista, che ne ha eseguito pure il montaggio, dice “ notoriamente terra di contraddizioni esposta all’arrivo di stranieri, dominatori, che al tempo stesso l’hanno soggiogata e arricchita” e che oggi “si misura con l’accoglienza da un punto di vista inedito. È la storia di un paese ferito che riesce, superati pregiudizi e diffidenze iniziali, a ricevere l’altro. Anche se lo straniero in questo caso è un cane randagio amabile e benevolo”.  Una Sicilia vera fatta di brava gente, piena di umanità e d’amore ma anche di pregiudizi, fatta anche di succulento folklore genuino, e quindi di pettegolezzi attraverso cui le notizie viaggiano velocemente come per via telegrafica, ma c’è anche la Sicilia fatta di amicizia e di autenticità dei rapporti umani e, ancora quella dei contrasti e delle contraddizioni, che sono mitigati da quella sottile ironia che caratterizza l’arguzia e la perspicacia del popolo siciliano, talvolta difficili da captare dal forestiero. Il film è la storia di un bambino, Meno (Vincenzo Lauretta), taciturno e solitario, orfano di madre, che fa amicizia con il cane randagio Italo (il cane Tomak) e che coltiva gerani variopinti con inusitato amore. E attorno a questa amicizia ruotano suo padre, il sindaco del paese Antonio Blanco (Marco Bocci), la sua maestra, la docile e affabile Laura Menoni (Elena Radonicich), la schietta oppositrice del sindaco, l’esplosiva e prorompente Luisa Nigro (Barbara Tabita), e, come un coro nella tragedia greca, le tre comari, tra cui la spavalda e incontenibile Concetta (Lucia Sardo), sensibili ai chiacchiericci paesani, e i tre vecchietti seduti sempre sulla stessa panca che esprimono, all’unisono e consequenzialmente,  sintetici e precisi pareri sui passanti e su ciò che succede in paese e, dulcis in fundo, il vecchio Natalino (il bravo Tuccio Musumeci) che con la sola mimica riesce ad esprimere la grande umanità di un popolo intero.
Il film con la voce narrante di Leo Gullotta inizia, come “dolce voce al canto con  “C’era una volta …” per indicare che esso è una favola, ma una favola che racconta una realtà vissuta e partecipata da un paese intero. Un bel film, dunque, per tutti, che riesce ad emozionare e ad esprimere l’insieme di quei sentimenti positivi che contraddistinguono l’essenza genuina dell’uomo.Il riferimento all’epitaffio sulla tomba di Immanuel Kant “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” detto da Luisa Nigro evidenzia il filo conduttore del film e cioè che l’azione umana è spinta e condotta dal suo senso morale.

Francesco Giuliano