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venerdì 31 gennaio 2014

Il film “La gente che sta bene” di Patierno non ha l’effetto sperato e un po’ delude

Titolo: La gente che sta bene
Regia: Francesco Patierno
Soggetto:  Federico Baccomo
Sceneggiatura: Francesco Patierno, Federico Baccomo, Federico  Favot
Produzione: Italia 2014

Cast: Claudio Bisio, Margherita Buy, Diego Abatantuono, Jennipher Rodriguez, Laura Baldi, Matteo Scalzo, Carlo Buccirosso, Carlotta Giannone,  […]
Questo film, tratto dall’omonimo romanzo di Federico Baccomo, edito da Marsilio, descrive la vita e le peripezie di un avvocato milanese Umberto Dorloni (Claudio Bisio), né penalista, né civilista, ma tutto fare a suo insindacabile giudizio, che mostra il suo carattere cinico e sprezzante dei sentimenti altrui. Un avvocato come lui cosa fa? Parla, parla, parla! E Dorloni parla sempre, esprime le sue opinioni in modo continuo e opprimente tale da contrastare quelle della moglie Carla (Margherita Buy) che, non sopportando le imposizioni del marito nei suoi confronti ed impossibilitata ad esprimersi apertamente, se ne distacca anche se per un breve periodo. Dorloni non riesce neppure a fare presa sui figli. È un grande egoista e un carrierista senza turbamenti e senza incertezze che, quando si tratta di licenziare qualcuno alle sue dipendenze, lo fa dicendo che bisogna guardare al futuro, essere ottimisti. Ma come si sa, in questo periodo di crisi economica, quello che oggi succede ai dipendenti, domani capita ai dirigenti. E così avviene. Dorloni, in un batter d’occhio, si trova in mezzo ad una strada. Potrebbe riacquistare  il ruolo perduto presso un’altra società, di cui fa parte un altro avvocato con il suo stesso modo di essere, Patrizio Piazzesi (Diego Abatantuono), ma una crisi di coscienza lo fa rinsavire. “La gente che sta bene” parla della perdita dei valori della nostra società caratterizzata da un degrado morale senza precedenti, che crede soltanto nel Dio-denaro, ma è un film che non esprime carattere, è ossessivo  e tedioso, tant’è che attori come la Buy e Abatantuono ne escono perdenti. Non regge il confronto, ovviamente, con “La grande bellezza” (2013) di Paolo Sorrentino, né con “Il capitale umano” di Paolo Virzì (2014), senza parlare poi dell’ultimo capolavoro di Martin ScorseseThe wolf of Wall Street” (2013), tutti film che affrontano gli stessi temi magnificamente.

martedì 28 gennaio 2014

Il film “Tutta colpa di Freud” è una commedia briosa che fa presa sul pubblico

Titolo: Tutta colpa di Freud
Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paolo Genovese, Leonardo Pieraccioni, Paola Mammini
Sceneggiatura: Paolo Genovese
Produzione: Italia 2014
Giudizio: ◊ ◊ ◊
Cast: Marco Giallini, Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Alessandro Gasman, Laura Adriani, Vinicio Marconi, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Paolo Calabresi, Alessia Barela, Gianmarco Tognazzi, Daniele Liotti,[…]


Tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Genovese (edito da Mondadori), questo film  "Tutta colpa di Freud" appartiene a quel genere di commedia italiana, spiritosa e briosa, molto gradita dal pubblico italiano. Genovese che ne è anche il regista, con un cast eccellente di attori che si muovono agilmente e che coprono magnificamente le parti loro assegnate, in modo intelligente e originale affronta, senza mai essere volgare e osceno e senza usare il consueto linguaggio scurrile di alcuni film nostrani, il problema dell’identità sessuale, o meglio quello dell’omosessualità, da cui risulta che questa non si può cambiare per decisione razionale del soggetto; esamina con garbo, anche, l’infatuazione classica di una spontanea diciottenne nei confronti di un cinquantenne sposato, dei suoi sogni … immagini riflesse, … specchio d'acqua immobile”, che “svaniscono provandoli a toccare”, come recitano alcuni versi della bella canzoneTutta colpa di Freud” di Daniele Silvestri, che viene cantata durante alcune scene del film e durante i titoli di coda.

Il film nel suo evolversi sostiene con forza che l’instaurarsi dell’innamoramento non può essere orientato dal settore in cui lavora una donna, perché non si hanno effetti di riuscita (L'amore ha i denti, i denti mordono. Fanno male, lasciano cicatrici. E quelle cicatrici non svaniscono più...”), ma che esso dipende da tutti quei fattori emotivi e sentimentali che sorgono spontanei e che non possono essere repressi quando si incontra la persona “giusta”. Inoltre, il film mette sul primo piano il ruolo del padre che dovrebbe mantenere questo ruolo sempre, rinunciando a quella tendenza del momento che lo indirizza a comportarsi da amico nei confronti dei propri figli.
Tutto viene sintetizzato in alcuni versi della su citata canzone di Silvestri “… Degli incontri imprevisti,/ delle scelte sbagliate, / dei dolori pregressi, dei peccati commessi una sera d'estate, / delle mille promesse mancate. ”.  Nel film, Marco Giallini ricopre il ruolo magnifico di uno psicologo, Francesco, padre di tre figlie: Marta (Vittoria Puccini), la figlia romantica, Emma (Laura Adriani), la figlia diciottenne e, infine, Sara, la figlia lesbica (Anna Foglietta, che recita la sua parte magnificamente).
Genovese va ricordato soprattutto per il film “Una famiglia perfetta” (2012) con Sergio Castellitto per l’originalità del tema affrontato e per il cast di attori splendidi: Claudia Gerini, Marco Giallini e Carolina Crescentini

mercoledì 22 gennaio 2014

Violenza e amore sono gli ingredienti del film “C’era una volta a New York” di James Gray

Titolo: C’era una volta a New York
Titolo originale: The immigrant
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello
Produzione: USA 2013

Cast: Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominiczyk, Angela Sarafyan, Jicky Schnee,  Yelena Solovey, Ilia Volok, Dee Dee Luxe, Dylan Hartigan, […]
C’era una volta a New York” è un film che descrive l’America, in particolare, come si desuma dal titolo, New York, agli inizi del secolo scorso e che affronta il tema annoso dell’immigrazione, che si ripete puntualmente in diverse parti del mondo ma che si differenzia sia nel tempo che nello spazio. Tema che è arricchito della miseria umana, della solitudine che si prova nel mettere piede in una terra straniera, della disperazione che costringe  gli individui a commettere atti che ledono la dignità personale, della corruzione e dello sfruttamento dell’uomo nei confronti del più debole, della donna in particolare. Il film inizia con la scena che inquadra gli immigrati sbarcati a Ellis Island, anticamera per accedere in America, che vogliono dare un senso alla loro vita con la speranza di realizzare una vita migliore. In migliaia provengono dall’Europa, negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale che aveva mietuto molte vittime e aveva esternato una violenza inaudita anche sulla popolazione civile. Cosi come, ai tempi nostri, vengono in Europa tutti quei poveracci, chiamati extracomunitari, dai loro paesi martoriati dalla guerra, paesi come la Siria, l’Egitto, quelli del centro Africa, etc. etc.. Tra questi immigrati si distingue una bella giovane donna polacca, Ewa Cybulski (Marion Cotillard) che, assieme alla sorella Magda (Angela Sarafyn), vuole una vita migliore di quella già vissuta nella miseria e nella violenza, dato che i genitori sono stati decapitati senza motivo, durante la guerra, dai soldati. Fanno ambedue la fila per la visita medica a Ellis Island. Purtroppo la sorella Magda viene inviata in ospedale perché affetta da tubercolosi e lei, ritenuta donna senza morale dato che sulla nave è stata violentata, deve essere rispedita in Europa. In sua difesa sopraggiunge Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), un uomo misterioso e ambiguo che, pagando gli agenti profumatamente, la libera portandola con sé. Da questo momento in poi, il film prende risvolti imprevedibili, con un susseguirsi di colpi di scena che cambiano continuamente, che non danno nulla di scontato e che lasciano lo spettatore in un continuo stato d’attesa. Ewa in un primo momento si affida, anima e corpo, a Bruno che, nello squallore più estremo, la sfrutta, poi decide di fuggire, ma non trova nessuno che l’aiuti, neppure gli zii che, immigrati molti anni prima, godono di un’ottima posizione economica, né tantomeno il prete da cui va a confessare i peccati commessi. Quest’ultimo piuttosto che aiutarla, la redarguisce con appellativo di peccatrice. Vano e infausto risulta anche l’intervento a suo favore del nuovo spasimante, il prestigiatore sfortunato Orlando (Jeremy Renner).
Il film si svolge in una atmosfera che ricalca molto bene quella dell’inizio del secolo scorso ed elabora un discorso che mette in risalto le condizioni disumane dei disperati e dei diseredati che, come avviene ai giorni nostri, vengono vituperati e maltrattati nei paesi ospitanti, ma evidenzia che il male viene accentuato soprattutto perché al mondo esistono gli intrallazzatori, i corruttori e i corrotti. Temi questi molto cari al regista James Gray che mette sempre in evidenza il labile confine che esiste tra il bene e il male, così come ha fatto nel suo film d’esordio “Little Odessa” (1994), e ancora in "The Yards" (2000) e ne “I padroni della notte” (2007).
Marion Cotilalrd offre un ritratto realistico e umano di Ewa Cybulski con la sua indiscussa bravura che, in questo caso, non eguaglia quella magistrale marcata come interprete di Edith Piaf nel film “La vie en rose” (2006) di Olivier Dahan.
Ottima anche la scelta di Joaquin Phoenix che con il suo sguardo penetrante e ambiguo sostiene bene la parte di Bruno Weiss e che non si distacca da ciò che costituisce il perno centrale attorno a cui ruotano i film di Gray.

domenica 19 gennaio 2014

Roberto Faenza in “Anita B.” narra la lotta di una giovane donna contro lo strapotere del maschio

Titolo: Anita B.
Regia:  Roberto Faenza
Soggetto: Edith Bruck
Produzione: Italia, USA, Ungheria, 2014

Cast: Eline Powell, Robert Sheehan, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro,  Clive Riche, Guenda Gloria, Moni Ovadia, Jane Alexander, […]
Il film è tratto dal romanzo "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck e racconta le vicissitudini di Anita (Eline Powell), una ragazza ebrea, di origine ungherese, internata, assieme ai genitori, nel campo di sterminio di Auschwitz durante la seconda guerra mondiale, e per fortuna scampata all’eccidio, a differenza dei genitori. Subito dopo la guerra (1945), Anita viene accolta nella casa della zia Monika (Andrea Osvart), in Cecoslovacchia, dove le è fatto divieto assoluto di parlare del passato e delle inaudite violenze che gli ebrei hanno sofferto nei campi di sterminio nazisti. Vedendo il film emergono conseguentemente due posizioni, a cui lo spettatore è chiamato a rispondere. Sarà preferibile non ricordare il passato, annullarlo come se nulla fosse avvenuto, per non far soffrire ulteriormente chi è sopravvissuto alle atrocità naziste e per non far angosciare i nascituri o i neonati, opinione questa sostenuta dalla zia Monika, oppure il passato non dovrà essere cancellato, anche se il ricordo ripristina nell’animo della gente il dolore sofferto, per evitare che si riverifichi l’orrenda barbarie dei nazisti sofferta dagli scampati, che è la posizione di Anita?
Un’altra domanda che lo spettatore si pone, durante lo scorrere della pellicola, è quella relativa all’attaccamento e alla simpatia che si instaurano tra un uomo e una donna. Dove sta il confine tra il sentimento che si chiama amicizia -  quello che Anita sente per David (Nico Micallegro) -  e quello che si chiama amore, che determina il concepimento di un figlio conseguente al rapporto sessuale tra Anita e Eli (Robert Sheehan), il fratello dello zio Aron (Antonio Cupo), con il quale la ragazza divide la stanza da letto? E un’altra domanda ancora che il film pone allo spettatore: Può una madre abortire contro la sua volontà per soddisfare le pretese del padre? Meno male che a questo mondo non sempre il male predomina sul bene, così come è avvenuto purtroppo durante il triste periodo che ha visto l’Europa insanguinata per colpa della violenza  nazista e dell’ignoranza fascista. Capita talvolta che,  quando si è persa ogni speranza, si incontrano persone positive,  caratterizzate  cioè da profonda umanità e grande sensibilità, come il medico ginecologo (Clive Riche), che danno aiuto e vigore a chi si trova dinanzi a gravi impedimenti.
Anita, pur essendo giovane, dimostra di avere una forza d’animo eccezionale e determinata che cerca, così come Sabina nel film “Prendimi l’anima” (2003) diretto dallo stesso regista, di far emergere la propria identità lottando strenuamente contro i pregiudizi e lo strapotere del maschio.

sabato 11 gennaio 2014

Mediocrità e squallore sono i caratteri dell’italica gente descritti dal film “Il capitale umano” di Paolo Virzì

Titolo: Il capitale umano
Regia: Paolo Virzì
Soggetto: Amidon Stephen
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Produzione: Italia, Francia, 2014

Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Matilde Gioli, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli, Gigio Alberti, Bebo Storti, Vincent Nemeth, Pia Engleberth, Nicola Cnetonze, […]
Andando a vedere questo film, e non avendo ancora letto il libro “Human capital”, dello scrittore americano Stephen Amidon, da cui è tratto, ho essenzialmente scoperto che ogni individuo, quando è in vita possiede in sé un “capitale umano” che non è lo stesso per tutti ma è variabile, dipende cioè dallo stato sociale di appartenenza, dall’età, dal “merito”, dalla sua speranza di vita. Anzi, esso si differenzia e dipende da alcune peculiarità individuali che variano da individuo a individuo, in quanto per la sua determinazione si tiene conto del lavoro che egli svolge, della qualità e della quantità di ciò che produce, del ceto sociale, del ruolo che occupa nella società, etc. etc.. Per cui un pensionato o cameriere, ad esempio, possiedono un bassissimo capitale umano pressoché nullo, soprattutto se appartengono ad un ceto sociale molto basso. Da ciò risulta che, anche se in uno stato come il nostro vige l’assioma che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, viene contraddetto uno dei fondamentali principi su cui si basa uno stato così detto “democratico”.
Il capitale umano” è l’undicesimo film di PaoloVirzì, dopo una costellazione di successi a partire da “La bella vita” (1994), e a seguire da “Ferie d’agosto” (1996), “Ovosodo” (1997), “Baci e abbracci” (1999), "My name is Tonino" (2002) “Caterina va in città” (2003), "N (Io e Napoleone)" (2006), "Tutta la vita davanti" (2008), "La prima cosa bella" (2010), per finire con “Tutti santi giorni” (2012). A differenza dei precedenti film, in cui Virzì descrive ed elabora, con perspicacia, bravura e ardire, i ritratti comici e meno comici particolari del variopinto carattere della gente italica, ne “Il capitale umano” (il migliore in assoluto tra i suoi ottimi film) sottolinea, con una professionalità tale che lo porta ai massimi livelli tra i registi italiani attuali, i tratti distintivi molto diffusi, i quali in circa un ventennio si sono consolidati nella maggior parte della gente, e cioè un’ima mediocrità da far paura, un’avidità sfrenata, un arrivismo incontrollabile per  raggiungere un prestigio sociale squallido e insensato, privo di valori, di punti di riferimento certi e indiscutibili e anche di umanità. Soprattutto, emerge la perdita dei legami culturali con il passato (non è un caso che in un gruppo di lavoro viene messa in discussione anche l’importanza di uno scrittore come Luigi Pirandello, premio Nobel 1934 per la Letteratura, mentre viene dato risalto ad un coro canoro) di “… un popolo che distrugge i resti del proprio passato … soffoca la propria anima, annienta la propria identità, si svuota di significato, non può acquisire i valori umani a fatica conquistati nel tempo dai suoi progenitori, rimane privo di sentimenti (dal racconto “IV – Hydra” de “I sassi di Kasmenai” ed. Il foglio, 2008).  E per evidenziare questi caratteri salienti contrassegnati di elevata negatività, il regista crea, con grande maestria e oculatezza, personaggi come quello dell’immobiliarista Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), figura molto caricata sino all’inverosimile, o come quello dell’imprenditore Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), o ancora come quella del professore intellettualoide Donato Russomanno (Luigi Lo Cascio), facendoli muovere in uno spettacolare teatrino del non senso, dove la donna matura, tra cui Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi) o la psicologa Roberta Morelli (Valeria Golino), appare molto debole, poco determinante, e succube dell’uomo. Diciamo, però, che una speranza di cambiamento di rotta da questo disumano status quo, dove a soccombere sono sempre i meno furbi e i più deboli e dove il ricco o il furbo diventano sempre più ricchi, Virzì lo ripone nei giovani che cercano di ribellarsi ad esso, come cerca di fare Serena Ossola (Matilde Gioli).
Il capitale umano” è film dai connotati particolari con una sceneggiatura originale, dove la stessa storia viene vista da tre visuali diverse (quella di Dino, quella di Carla e quella di Serena), che si inquadra egregiamente tra il genere noir e la commedia italiana.

mercoledì 8 gennaio 2014

“Col fiato sospeso” è un film denuncia sulla sicurezza di alcuni laboratori di ricerca universitari

Titolo: Col fiato sospeso
Regia: Costanza Quatriglio
Sceneggiatura: Costanza Quatriglio
Produzione: Italia 2013

Cast: Alba Rohrwacher, Anna Balestrieri, Michele Riondino, Gaetano Aronica
Un film “Col fiato sospeso”, trasmesso su RaiTre in seconda serata, ieri, è condotto dalla brava regista palermitana Costanza Quatriglio con lo stile del documentario, anche se non è un documentario nel senso stretto della parola, dove molte immagini sostituiscono con sagacia ed efficacia le parole. Il cast è costituito da pochissimi attori, tra cui spicca in primissimo piano la bravissima Alba Rohrwacher, che interpreta la parte di Stella, una studentessa universitaria, laureanda in farmacia che per la sua tesi viene inserita in un laboratorio sperimentale per svolgere il relativo lavoro di ricerca sovvenzionato da un’industria farmaceutica. Stella viene subito attratta dallo studio della chimica, una materia affascinante e coinvolgente, che incanta e che al tempo stesso intimidisce, che come in una tela del ragno l’afferra e non la molla più, e che per certi aspetti è misteriosa. Questa materia, che affonda le sue radici nell’antica alchimia, a Stella forse, come a Primo Levi, nel suo racconto “Idrogeno” tratto da “Il sistema periodico”, “… rappresentava una nuvola indefinita di potenze future, che avvolgeva il mio avvenire in nere volute lacerate da bagliori di fuoco. Come Mosè, da quella nuvola attendevo la mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel mondo. … per dragare il ventre del mistero”. La studentessa lavora in quel laboratorio, attratta dalle continue scoperte che fa, dalla mattina alla sera ininterrottamente, andando incontro inconsapevolmente a dei rischi seri, in generale, ma, in particolare, a dei rischi latenti per la salute, così come racconta ancora Primo Levi “… Ci fu un’esplosione, piccola ma secca e rabbiosa. … a me tremavano un po’ le gambe; provavo paura retrospettiva, e insieme una certa sciocca fierezza, per aver confermato un’ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura. Era proprio idrogeno…” . Poco alla volta, però, Stella si rende conto che il laboratorio di chimica è insalubre e tutto il tempo ivi trascorso le può essere nocivo, tant’è che qualche volta è presa da svenimenti. L’evento, però, viene sottovalutato come tante altre volte, perché “il concetto di veleno è connesso con la quantità” gli dice il suo professore. Trascurando il fatto che composti, come il benzene o l’amianto o come qualunque altra sostanza incognita ivi prodotta, altamente cancerogeni o potenzialmente tali, dovrebbero essere usati con le dovute precauzioni e con le adeguate attrezzature che un laboratorio di ricerca, degno di questo nome, dovrebbe avere. “Sarà stata una strana coincidenza” le verrà detto, “perché la causa del suo malore non potrà essere addossata al laboratorio, perché in esso ci lavorano anche figli degli stessi docenti universitari”. La sua amica Anna (Anna Balestrieri) cerca invano di convincerla di lasciare quella ricerca e quindi di allontanarsi da quel laboratorio. Tale scelta la porterà ad un amaro epilogo, lo stesso toccato, prima di lei, ad un dottorando di ricerca, Emanuele (voce narrante Michele Riondino), il cui nome si collega ad Emanuele Patané, il giovane morto di tumore ai polmoni nel 2003, che aveva già percorso la sua stessa strada.
Questo è un film-denuncia sulla conduzione di taluni laboratori di ricerca  universitari, in cui non si tiene conto della salubrità ambientale e del rispetto di tutte quelle norme esistenti in Italia da circa un sessantennio e successive integrazioni, secondo cui gli studenti italiani sono equiparati per ciò che riguarda i tempi di lavoro e il rispetto delle norme di sicurezza a tutti gli altri lavoratori.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia 2013.

domenica 5 gennaio 2014

Il film “American Hustle” basato su fatti realmente accaduti è stato concepito in chiave pirandelliana

Titolo: American Hustle – L’apparenza inganna
Titolo originale : American Hustle
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura: David O. Russell, Eric Warren Singer
Produzione: USA 2013

Cast: Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Robert De Niro,Jeremy Renner, Jennifer Lawrence, Jack Huston, Louis C.K., Michael Peña, Alessandro Nivola, Adrian Martinez, Elisabeth Rohm, […]

Come sosteneva il grande Luigi Pirandello, premio Nobel per la Letteratura (1934) “non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere”, questo film “American Hustle (trad. Caos americano) – L’apparenza inganna” gioca continuamente con “il sentimento del contrario”, che è congruo in modo parossistico con l’umorismo quale strumento che mette a nudo la fragilità umana in tutti i sensi. Il film, prendendo lo spunto da fatti realmente accaduti negli Stati Uniti a partire dal 1978, tratta di un indagine poliziesca (FBI) che portò, con l’aiuto di una coppia di abilissimi truffatori all’arresto di alcuni membri (deputati e senatori) del Congresso, e fa vedere cosa avviene dietro le quinte del teatrino politico per acquisire mazzette e cose del genere. Per cui sarebbe auspicabile che la visione di “America Hustle – L’apparenza inganna” fosse prescritta a tutti quei politici di casa nostra, corrotti, dotati di una sfrontata e insuperabile arroganza e carenti di un bruscolo di dignità, il cui insano comportamento va oltre ogni umana decenza e suscita intolleranza e disgusto nell’elettore. La coppia di intrallazzatori, che nel film è interpretata egregiamente da Christian Bale, nella parte di Irving Rosenfeld, e da Amy Adams, che interpreta Sydney Prosser, viene costretta dal poliziotto FBI, Richie DiMaso (Bradley Cooper), a collaborare, pena la detenzione per i crimini commessi in flagranza di reato. Lo scopo è quello di incastrare politici corrotti come il sindaco Carmine Polito (Jeremy Renner) e mafiosi tra cui il temutissimo e pericoloso Victor Tellegio (Robert De Niro). Tuttavia, l’uso degli imbroglioni e dei malfattori per scopi legittimi a volte, anzi sempre, funziona come un boomerang che manda all’aria la dignità e la reputazione personali di chi si impegna per sconfiggere il malaffare.
Come nei suoi film precedenti “The Figther” (2011), dove troviamo la brillante coppia Christian Bale/Amy Adams, e “Il lato positivo – Silver Linings Playbook” (2012), interpretato da Bradley Cooper, Robert De Niro e l’esplosiva Jennifer Lawrence (che ottenne il premio Oscar 2012, come migliore attrice), così in quest’ultimo film, il regista David O. Russell, ancora una volta, mostra i suoi protagonisti come individui che, presentando una, nessuna o centomila maschere - parafrasando il titolo di un romanzo pirandelliano -, cercano di cambiare la propria posizione individuale e sociale con un succedersi di fatti spesso bizzarri, ma soprattutto imprevedibili e per niente scontati. 
Riesce difficile catalogare questo film perché le sue peculiarità e i suoi tratti distintivi sono molteplici e, per taluni aspetti, indefinibili così come le maschere pirandelliane. Essi vanno dal comico all’umoristico, dall’ironico al drammatico, dal sentimentale al divertente, dall’emozionante al grottesco, dal realistico al paradossale. È un film ben recitato e gli attori, tutti bravissimi, interpretano ciascuno la loro parte in modo magistralmente credibile ed eccellente. I dialoghi, inquadrati in brani musicali dell’epoca scelti oculatamente, risultano travolgenti, prorompenti e interessanti creando un incessante turbinio continuo che costringe lo spettatore a seguire dettagliatamente ogni parola, ogni sguardo, ogni azione per evitare di perdere il filo del discorso.
Il film ha ottenuto già 7 nomination Golden Globe, 8 nomination Satellite Awards ed è in odore di nomination Oscar 2014.

venerdì 3 gennaio 2014

Un film "I sogni segreti di Walter Mitty" che insegna che bisogna affrontare la vita con coraggio andando anche contro all’ignoto

Titolo: I sogni segreti di Walter Mitty
Titolo originale: The secret life of Walter Mitty
Regia: Ben Stiller
Soggetto: Jay Kogen, James Thurber
Sceneggiatura: Peter Morgan
Produzione: USA 2013

Cast: Ben Stiller, Kristen Wiig, Shirley MacLaine, Adam Scott, Kathryn Hahn, Sean Penn, Terence Bernie Hines, […]
Walter Mitty (Ben Stiller) è il responsabile della custodia e della catalogazione degli innumerevoli negativi della rivista “Life” che sono stati  conservati nel  tempo nell’archivio da lui diretto. Ora che la rivista deve chiudere, per  lasciare il passo alla rivista “Life on line”, bisogna procedere all’elaborazione della copertina dell’ultimo numero cartaceo di “Life”. Ovviamente, nell’archivio deve essere ricercato il negativo “numero 25”, indicato in una lettera da Sean O’Connell (Sean Penn), il bravo fotografo che una volta lavorava per la rivista stessa e che ora si trova in qualche parte del mondo.  Walter non trovando il negativo “numero 25”,  e pressato dal suo superiore antipatico, arrogante e prepotente Ted Hendricks  (Adam Scott) va alla ricerca di Sean O’Connell e, con questo pretesto, è costretto a visitare luoghi poco frequentati dall’uomo, come la Groenlandia, l’Islanda, l’Afganistan, andando incontro ad una serie di avventure che mettono in evidenza il suo coraggio e il suo carattere audace. Il film “I sogni segreti dl Waler Mitty” diretto dallo stesso protagonista, Ben Stiller,  remake del film “Sogni proibiti” (1947) interpretato dal grande Danny Kaye e diretto da Norman Z. McLeod, è una commedia accattivante e implicante, che nella sua semplicità conserva anche una vena che riporta l’individuo nella propria originale dimensione umana, ormai perduta a causa dell’imperante e sovrastante tecnologia e superficialità che caratterizza l’uomo moderno, e che vuole dare un messaggio importante che è quello che si va a cercare in capo al mondo ciò che si ha a portata di mano: come se altrove fosse diverso dal qui.
Walter Mitty si muove tra l’immaginario – i suoi continui incanti lo dimostrano – e il reale, dove procede con incertezza ma con determinazione per riconquistare una dimensione umana dei rapporti autentici e genuini, non mediati da nessuna tecnologia e saldamente ancorati ad esperienze vere. A Walter Mitty, in effetti, piace giocare a ping pong passando, con i suoi continui incanti, dal reale all’immaginario, dove le sue azioni non hanno niente da invidiare a Superman o all’Uomo ragno, e tutto ciò avviene in modo così frenetico che ci si confonde nel distinguerli quando si manifesta l’uno o l’altro. E in questa piacevole altalena si evidenzia, a ogni piè sospinto, la bellezza in tutte le sue sfaccettature, come l’attrazione che ha nei confronti della dolce collega Cheryl (Kristen Wiig) di cui si è invaghito, o come la stima che ha nei confronti del tanto ricercato fotografo Sean, o come la lotta allo strapotere dei superiori gerarchici. O ancora perché la bellezza va gustata proprio nell’attimo in cui si presenta, attimo che non va perso neppure per scattare una fotografia. L’attimo che si utilizza per fotografare, infatti, fa perdere l’attimo in cui si coglie la bellezza. Nella parte della madre di Mitty compare l’attrice Shirley MacLaine, come cameo di questo divertente film da non sottovalutare.