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domenica 27 gennaio 2013

Con il film “Lincoln”, il regista Steven Spielberg fa una lezione sull’uguaglianza e sulla libertà dei popoli e sull’etica della politica.



Titolo: Lincoln
Regia: Steven Spielberg
Soggetto: Doris Kearns Goodwin
Sceneggiatura: Tony Kushner, John Logan, Paul Webb
Musica: John Williams
Produzione: USA 2012
Cast: Daniel Day-Lewis, Sally Field, David Stratairn, Joseph Gordon-Levitt, James Spader, Hal Holbrook, Tommy Lee Jones, Lee Pace, David Oyelowo, Jackie Earle Haley, Bruce McGill, Tim Blake Nelson, Joseph Cross, Jared Harris, Peter McRobbie, Gulliver McGrath, Gloria Reuben, Walton Goggins, […]

Il film “Lincoln” di Steven Spielberg descrive il susseguirsi di dialoghi stringenti, di compromessi e di intrighi che investirono il presidente Lincoln e il suo staff durante i fatti che precedettero, a partire dal 5 gennaio 1865, la discussione del XIII Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America con il quale venne abolita la schiavitù dei "negri". La sua definitiva approvazione da parte della Camera con 119 voti favorevoli e 56 contrari si realizzò il 31 gennaio 1865. Finalmente fu avviato il processo graduale di uguaglianza tra “negri” (oggi questo termine è in disuso ed è stato sostituito da “neri”) e bianchi, scaturito paradossalmente da un concetto geometrico che Lincoln aveva acquisito leggendo addirittura il libro “Elementi” di Euclide, filosofo greco vissuto tra il 323 a.C. e  il 286 a.C.. Si trattava, in particolare, dell’assioma che afferma che "Tutte le cose che ad una medesima cosa sono uquali, fra loro sono uquali". L’assioma è un’affermazione generale a cui si assegna il significato di verità indiscussa e invariabile, da cui derivano per argomentazione logica altre affermazioni vere su cui si fonda un relativo sistema di conoscenze. È nel concetto di uguaglianza insito il discorso di libertà, cioè se due uomini sono uguali, l’uno non può essere schiavo dell’altro, perché la schiavitù crea disuguaglianza. Neri e bianchi in quanto uomini e per questo uguali hanno pari dignità di fronte alla legge sia in termini di diritti che di doveri. Più volte Lincoln, infatti, aveva espresso la sua convinzione che dall’uguaglianza deriva la libertà, tant’è che in una lettera del 1862 egli scrive: “…non ho intenzione di modificare la mia più volte ribadita volontà personale che tutti gli uomini possano essere liberi.”

Assieme al discorso politico molto intenso e complesso che investe molti personaggi, e alla contrapposizione dialettica di idee tra quella radicale dell’intransigente abolizionista Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), quella diplomatica ma inconcludente del segretario di Stato William Steward (David Stratairn) e quella incerta del vecchio leader repubblicano Preston Blair (Hal Holbrook), il regista mette in evidenza i metodi, in parte moderati e in parte discutibili ma efficaci, direi di stampo quasi machiavellico, adottati da Lincoln per raggiungere il suo umano e sacrosanto obiettivo, quello della liberazione dei negri dalla schiavitù e dalle nefandezze e dallo sfruttamento che questi avevano subito per più di due secoli e mezzo. Basta vedere il bel film “Django Uchained” di Quentin Tarantino, dove la crudeltà e la disumanità con cui venivano trattati i negri vengono toccate con mano nella loro durezza e crudezza, che crea nello spettatore un sentimento di ripugnanza e di esecrazione.
Attorno al discorso politico, dunque, ruota tutto il film dove risaltano anche la grandezza e la genialità del leader Lincoln miste alla forza ironica, alla vena umoristica e allo spessore umano dell’uomo Lincoln, assieme al susseguirsi delle scene tragiche e disumane dovute alla guerra di secessione, dei problemi familiari con il figlio maggiore Robert (Joseph Gordon-Levitt) e con la moglie Mary Todd (Sally Field) e dei continui dialoghi che richiedono allo spettatore una continua attenzione. Spielberg arriva, addirittura, a gestire Lincoln (Daniel Day_Lewis) nella parte finale del film, a mio parere, come “un deus ex machina” della tragedia greca antica per raggiungere il suo obiettivo quando gli fa affermare che "Io sono il presidente degli Stati Uniti d'America investito di un potere immenso! Voi mi procurerete i voti!" Una scena indimenticabile che fa comprendere come un leader degno di questo nome, come lo è stato Lincoln, debba a volte intervenire drasticamente sul suo staff per raggiungere il proprio fine.

L’attore Daniel Day-Lewis, che interpreta magnificamente e in modo magistrale Lincoln, in una recente intervista da lui rilasciata al settimanale “Il venerdì di Repubblica dell’11 gennaio 2013” e scritta da Antonio Monda, per esprimere un giudizio su Lincoln, il cui personaggio ha studiato approfonditamente per comprenderne il carattere, il comportamento e la cultura, cita un pensiero di Lev Tolstoj per dire che la grandezza dei grandi uomini che hanno fatto la storia dell’uomo “impallidisce rispetto al sole di Lincoln. Il suo esempio è universale… la grandezza di quello che ha fatto rimarrà” fino alla fine del mondo.

Questo film è anche importante soprattutto per far comprendere allo spettatore la situazione politica italiana del recente ventennio trascorso, perché Spielberg ha voluto sottolineare cosa significa fare vera politica, nel senso etimologico della parola, e far mettergli a confronto il passato remoto con il passato recente e anche con il presente che sono caratterizzati da una politica degenerata eticamente, da corruzione dilagante e da un’immoralità palese che non ha termini di paragone.
Il film ha avuto undici nomination al premio Oscar 2013, tra cui uno come miglior film, uno a Steven Spielberg per la regia impeccabile, e tre come migliori attori rispettivamente a Daniel Day-Lewis ( a cui è stato assegnato pure un Golden Globes 2013), a Tommy Lee Jones e Sally Field. A questi premi si aggiungono dieci nomination al premio BAFTA 2013 (British Academy of Film and Television Art).