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giovedì 22 novembre 2012

Con il film “Amour” il regista Haneke smonta con la sua grande sagacia l’ipocrisia e il cinismo della società ben pensante.


Titolo: Amour

Regia: Michael Haneke

Sceneggiatura: Michael Haneke

Produzione: Francia, Germania, Austria, 2012

Cast: Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert, Rita Blanco, William Shimell, […]

Michael Haneke è considerato uno dei più grandi registi viventi a livello mondiale, basta ricordare i suoi film più importanti come il film “La pianista” (2001) con Isabelle Huppert, premiato a Cannes con il Gran premio della giuria, o come il suo penultimo “Il nastro bianco” (2009) con il quale si aggiudicò  La Palma d’oro sempre al festival di Cannes, che ha riottenuto anche con questo film Amour (2012) al Festival di Cannes 2012.

Haneke è un regista particolare, sottile, intelligente, controcorrente che, sapendo usare la macchina da presa, crea con “Amour” un’opera dai connotati eccezionali sia per il suo contenuto attualissimo, quello dell’eutanasia, sia per aver saputo anche questa volta dirigere perfettamente due mostri sacri del cinema francese, Jean-Louis Trintignant e Emmanuelle Riva. Il primo veste i panni di Georges e la seconda quelli di Anne, la moglie di Georges. Georges e Anne, bravi musicisti ambedue, ormai in pensione, trascorrono una vita serena fino a quando Anne rimane paralizzata su metà del corpo.  A questo punto il film si fa sicuramente triste, molto duro, acerbo, doloroso, aspro, crudo, realistico, pungente, schietto, e mette in evidenza come la vecchiaia sia qualcosa di brutto, che umilia la dignità umana, che rende precaria ogni cosa, che isola dal mondo, dalla società, dagli amici, da tutti, anche dalla figlia Eva (Isabelle Huppert) che essendo giovane pensa che alla vecchiaia ci debba essere rimedio. Non si può capire se non ci si immedesima o non si vive in quello stato di salute precaria in cui si perde l’intelletto, e i sentimenti si frantumano come roccia al vento, pian piano. Un film che lascia strascichi psicologici allo spettatore per la sua irruenza e che non lo lascia indifferente anche perché è un film basato sull’amore di un uomo per la sua donna di una vita intera, di un marito per la moglie, di un amante per l’amata. Oserei dire sull’amore perfetto! L’amore che si coglie in tutte le manifestazioni affettive che Georges rivolge alla moglie Anne, l’amore che sorprende nelle tenerezze che le manifesta, nell’aiuto continuo che le dà nel farla alzare dal letto o negli esercizi fisioterapici o nel farla muovere per casa, nel farla sedere o alzare dalla sedia, nel cibarla, nell’accudirla in tutti i movimenti insomma. Lo stesso amore si manifesta quando Georges licenzia un’infermiera che per un giorno di lavoro gli costa 800 euro come se niente fosse e alla quale dice “Spero che un giorno qualcuno tratti lei come lei tratta i suoi pazienti... e che lei non abbia nessun mezzo per difendersi". L’amore che lotta contro la malattia che progredisce gradualmente senza alcun rimedio e senza una prospettiva di miglioramento.  Un film dove si coglie anche una vena romantica, quella stessa traccia che si evince dalla poesia “Amore e morte” di Giacomo Leopardi che ad un certo punto così recita “… Quando il travaglio amoroso / è giunto al culmine della sofferenza,/ allora il corpo fragile cede/ alle terribili sofferenze,/ che la Morte prevale/…”.

Il film in sostanza è un dialogo a due, non solo verbale, ma soprattutto fatto di gesti, di sorrisi, di affetti, tra Georges e Anne, cioè tra Jean-Louis Trintignant, - attore abile e bravo divenuto famoso negli anni sessanta con diversi film: “Il sorpasso” (1962) di Dino Risi, “Un uomo, una donna” (1966) di Claude Lelouch  e “Z- L’orgia del potere” (1969) di Costas- Gavras con il quale ebbe il Premio di migliore attore al Festival di Cannes 1969, - e l’ormai sfiorita ma pur sempre affascinante Emmanuelle Riva della quale ricordiamo in ordine cronologico l’interpretazione nel film “Kapò” (1960) di  Gillo Pontecorvo, e nello stesso anno in “Adua e le compagne” di Pietrangeli e ancora nel film di Marco Bellocchio “Gli occhi, la bocca" (1982).