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giovedì 20 settembre 2012

Con il film “È stato il figlio”, Daniele Ciprì descrive con uno stile grottesco-surrealista una società dominata da degrado umano

Titolo: È stato il figlio
Regia e soggetto: Daniele Ciprì
Sceneggiatura: Daniele Ciprì, Miriam Rizzo, Massimo Gaudioso
Produzione: Italia, 2012
Cast:  Toni Servillo, Giselda Volodi, Aurora Quattrocchi, Fabrizio Falco, Alfredo Castro, Benedetto Ranelli, Piero Misuraca, Pier Giorgio Bellocchio, […]


In questo film Daniele Ciprì descrive, con un linguaggio originale e bizzarro, un’umanità brutta, sporca, deforme, immedesimata nella famiglia Ciraulo, dove povertà, miseria, ignoranza si tagliano a fette e dove la vita ha poco valore, dove al contrario la morte paradossalmente assume un ruolo preponderante, fondamentale, addirittura pone le basi di un solido sostegno economico e di una migliore visibilità sociale, in altre parole la morte costituisce una risorsa umana. Ciprì riesce efficacemente con una crudezza realistica e con un raffinato e sottile gusto del tragicomico a usare  le diverse maschere dei molteplici personaggi, alcune reali -  quella di Aurora Quattrocchi (Nonna Rosa) e  quella di Giselda Volodi (Loredana Ciraulo) o ancora quella malinconica di Alfredo Castro (Busu) – e  altre sofisticate – eccellente, particolare e bizzarra quella di Toni Servillo (Nicola Ciraulo). Maschere di individui miserabili disgraziati, reietti, inserite in un contesto grottesco paradossale bizzarro mostruoso, per certi aspetti buffo, di carcasse arrugginite e di cupo e introverso squallore dove la solitudine, la cattiveria, la miseria, l’ignoranza e soprattutto la fame costituiscono la metafora di una parte della società alla deriva, quella miserabile e povera sia di beni materiali che umani, abbandonata a se stessa su una strada di non ritorno, nascosta alla altra parte della società caratterizzata da una falsa opulenza e da un’accattivante tecnologia che mira ad un benessere virtuale e spietato dove il consumismo e l’ostentazione della “falsa ricchezza” annientano qualunque aspirazione che tenda alla dignità umana. Ciprì è maestro nel descrivere un ambito urbano ghettizzato, isolato, quasi al di fuori o meglio lontano dalla civiltà tanto sospirata, un’isola brutta che rasenta similmente quella di un inferno dantesco, dove la fame ancestrale degli abitanti può essere appagata da superflui mezzi tecnologici, e dove l’improvvisa sovrabbondanza di denaro disarma l’intelletto, ponendolo quasi dinnanzi al dilemma shakespeariano. Non è un caso, infatti, che  il capofamiglia, Nicola Ciraulo, piuttosto che cercare di risolvere i problemi indigenti propri e della famiglia affida il “benessere” familiare al falso godimento offerto dalla tecnologia – una Mercedes - che oltretutto fa benedire con l’acqua santa sotto il segno della croce. Emerge così un’umanità arida, sterile, inerme, inetta, diseducata, ma anche abbandonata a se stessa, che riempie il dolore causato dalla perdita di un affetto caro con un bene materiale o fittizio - appunto la Mercedes nera o l’accordo disumano, illegittimo, violento, verbale che Nonna Rosa confeziona con il nipote Masino (Piero Misuraca) -, che conducono irrimediabilmente ad una incontrollabile disgregazione sociale e ad un palese deterioramento antropologico. Emerge, dunque, il quadro di una società dove attecchiscono facilmente la violenza mafiosa e lo strozzinaggio, dove la vita perde quel naturale valore che invece viene acquisito dalla morte e dove a perdere sono sempre gli innocenti e i più deboli, alias i “vinti” di concezione verghiana destinati comunque a soccombere.
Il film, tratto liberamente dal romanzo omonimo (2005) di Roberto Alajmo finalista al premio Viareggio e adornato da diversi premi, è stato presentato alla 69^ Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia 2012 ottenendo il Premio per il migliore contribuito tecnico e il Premio Marcello Mastroianni a Fabrizio Falco che nel film veste i panni del giovane Tancredi Ciraulo.