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mercoledì 21 marzo 2012

Nel film "This must be the place" Paolo Sorrentino descrive il viaggio di un uomo alla ricerca di se stesso

Titolo: This must be the place


Regia: Paolo Sorrentino


Produzione: Italia, Francia e Irlanda, 2011
Cast: Sean Penn, Eve Hewson, Frances McDormand, Joyce Van Patten, Harry Dean Stanton, [...]



This must be the place che tradotto letteralmente significa Questo deve essere il posto, una canzone dei Talking Heads (Teste parlanti), è il titolo del film con il quale il regista Paolo Sorrentino crea un personaggio particolare, sui generis, eccezionale, insolito, non comune, fantastico, che sin dai primi fotogrammi suscita nello spettatore un’inconsueta curiosità, un’incontrollabile attrazione mista a forti emozioni, che originano subitaneamente un istintivo rapporto empatico travolgente spettatore-attore. Una metafora dei giorni nostri che ci fa riflettere sul nostro modo di vivere frenetico, stereotipato, superficiale, distratto, formale e insensibile.
Il regista descrive il personaggio del film con una sottile, quasi trasparente, impercettibile ma realistica vena poetica romantica, esaltando i sentimenti di un uomo (fedeltà coniugale, altruismo, generosità, ecc.), la sua spontaneità, il suo comportamento curioso, la sua stravaganza (la piscina vuota usata per giocare e non per nuotare), la sua andatura e il suo modo di parlare lenti, pacati, monotoni, che subito contrastano con gli stereotipi moderni e con la vita frenetica della nostra società, caratterizzata da una disumana superficialità, che induce ogni individuo a trascurare l’intima essenza dell’uomo e a non dare un significato al senso della vita. Cerca, in definitiva, il regista di dare voce al turbamento e all'irrequietudine dell’animo umano, al contrasto tra presente e passato, al fluire di quest’ultimo in modo così repentino da dare adito a tormentosi rimpianti e alla consapevolezza di aver commesso irreparabili errori. Usa, dunque, il regista la strada del romanticismo che gli permette di far leggere allo spettatore dentro l’animo di Cheyenne, il protagonista del film, e di metterne in luce quegli stati d’animo che sono universali e accomunano tutti gli uomini. C’è romanticismo nell’andatura lenta, a piccoli passi di Cheyenne, e nell’ascoltare quello che il cuore gli dice, nel volgere lo sguardo al suo passato e nel ricordare gli insegnamenti ricevuti, gli affetti dimenticati, nella spontaneità delle sue manifestazioni. C’è romanticismo nella descrizione di una brutta notizia – il padre che abita lontano è in fin di vita –, che gli fa affiorare in modo turbolento alla mente il triste ricordo del suo rapporto con la figura paterna con cui da trent’anni non si parla, c’è romanticismo nei rapporti interpersonali del protagonista.
Cheyenne, è una famosa rockstar cinquantenne, ormai in pensione, che ama portare una folta capigliatura e truccarsi come una donna, vestendo così una maschera che annulla la sua personalità, perché la maschera (“maschera” dal greco prosopon assume il significato in latino di persona e, come pronome indefinito nel francese personne, il significato di “nessuno”) annulla, nasconde la personalità individuale.
Cheyenne intraprende allora un lungo viaggio da Dublino a New York, per assistere il padre durante gli ultimi istanti di vita. Prende la nave perché ha paura dell’aereo. Arriva per questo in ritardo. Trova il padre ormai morto. Sente un vuoto nel suo animo, allora, che cerca di colmare proseguendo nella ricerca affannosa di un vecchio ufficiale nazista, ricerca che il padre di origine ebrea aveva intrapreso per vendicarsi dell’umiliazione ricevuta durante la sua prigionia in un campo di concentramento, al tempo della seconda guerra mondiale. Cheyenne, dunque, incomincia un viaggio, che, a dirla con il filosofo Schopenauer, rappresenta la ricerca di se stesso e dell’affetto che forse il padre nutriva per lui, dunque la ricerca di un bene infinito. Durante questo viaggio, infatti, gli torna in mente l’età giovanile caratterizzata da una profonda distrazione che non gli ha fatto cogliere l’essenziale dei comportamenti umani ma lo ha diretto verso il superfluo e l’effimero, si rammenta dei valori che il padre voleva trasmettergli, come la perseveranza e la riconoscenza, e comprende ora cosa vuol dire umiliazione, annichilimento della dignità umana, distruzione della personalità individuale. Soltanto la vendetta può emendare il danno psicologico e fisico subiti dal padre. La vendetta genera odio, e l’odio induce alla guerra, alla morte, all’eliminazione fisica dell’avversario. Meglio un’altra fine molto più giusta e più umanamente condivisibile, quella di infliggere al tormentatore altrettanta umiliazione: costringerlo a stare completamente nudo in mezzo alla neve. Cheyenne, dopo aver raggiunto lo scopo del padre, torna dal viaggio, si toglie il trucco e si taglia i capelli, trasformandosi così all’età di cinquant’anni da bambino a uomo.
Sean Penn, premio Oscar 2009, interpreta magistralmente Cheyenne mentre Frances
McDormand
, anche lei premio Oscar 1997, impersona la moglie Jane.