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martedì 15 novembre 2011

Happy Family


Il film racconta di uno sceneggiatore e dei suoi personaggi in cerca d’autore, il riferimento pirandelliano è tutt’altro che velato. Questa volta il cinema di Salvatores si avvicina al teatro mettendo in mostra la quinta parete che normalmente è celata all’occhio dell’osservatore, cambiando le regole del gioco. Ottimo protagonista lo spaesato Fabio De Luigi che ha già dimostrato di avere doti anche in ambito drammatico (in Come Dio Comanda, proprio con Salvatores).
In un continuo intrecciarsi tra realtà e finzione, Gabriele Salvatores racconta attraverso le parole di Ezio le storie dei protagonisti di quello che sarà il suo film, con cui però si troverà direttamente a contatto. Un banale incidente stradale catapulta, infatti, Ezio, al centro di questo microcosmo, nel quale i genitori possono essere saggi, ma anche più sballati dei figli, le madri nevrotiche e coraggiose, le nonne inevitabilmente svampite, le figlie bellissime e i cani cocciuti e innamorati. Improvvisamente Ezio si stufa di scrivere e decide di troncare la sceneggiatura, provocando la preoccupazione dei personaggi che gli piombano in casa spronandolo a continuare la storia e di aggiungere nuove trame appassionanti al racconto. E’ così quindi che nascono amicizie e si slegano amori.
Bellissima la scena in cui i personaggi del racconto irrompono nella casa dello scrittore-protagonista/Ezio/De Luigi per convincerlo a proseguire il racconto, lamentandosi delle sue decisioni e scelte narrative. La scena richiama in maniera impressionante l'opera teatrale di Pirandello Sei personaggi in cerca d'autore, quando i sei personaggi si recano dallo scrittore per pregarlo di metterli in scena, di scrivere per loro una commedia.
È un film a suo modo anche cinefilo, ricco di riferimenti (più che citazioni) al cinema di Wes Anderson (anche i Tenenbaum erano una Happy Family), ma si odono echi di Woody Allen (c'è un forte debito con Herry è a pezzi), di Buster Keaton, di Billy Wilder e di tanti altri mostri sacri della commedia di tutti i tempi.
C’è anche un elemento psicanalitico che percorre tutto il film, quasi fosse una confessione di inadeguatezza all’idea di essere felici. Solo alcuni attimi della vita corrispondono all’idea che Salvatores ha di felicità. Tutto quello che ostacola il suo raggiungimento è in realtà dominato dalla paura: paura di cambiare, paura del nuovo e di quello che già conosciamo, paura di mettersi in gioco, paura di sbagliare e, soprattutto, paura di essere felici. Attraverso la forma di “racconto nel racconto” si esorcizza, con un riso amaro, anche la paura della morte, che solo trovata la felicità può arrivare in modo sereno.
La la famiglia felice sullo schermo è anche quella degli attori, quelli veri, che hanno lavorato con Salvatores. Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio si ritrovano insieme sul set venti anni dopo Marrakesh Express e Turnè (bellissima la battuta autoreferenziale “Mi sa che ci siamo già visti in Marocco io e te”).
In una Milano magica (da lungo tempo nessuno la descriveva più come una città fotogenica e fantastica), Ezio percorre i luoghi fisici e quelli della mente alla ricerca della storia che vuole raccontare (e forse vorrebbe vivere). Ezio è l’alter ego di Salvatores, regista che nuovamente affronta un cortocircuito narrativo in cui narrazione e narrante si intersecano (era già accaduto nell’esperimento fantascientifico di Nirvana).
Il film ha un doppio finale: quello del racconto di Ezio e quello del film. Il primo si conclude con un “lieto fine”, come se il mondo fosse meraviglioso e persino la morte di Vincenzo viene vissuta in modo pacifico. La scena si svolge in una clinica a Panama, tutto l'ambiente è bianco, tutti i personaggi attorno a Vincenzo a letto sono vestiti di bianco, panna, avorio, beige, risaltano solo i loro occhiali scuri. Visivamente la scena richiama Mare dentro (Mare dentro, 2004 di Alejandro Amenábar), ne sembra quasi l'opposto.
Il secondo finale, si ha alla fine del racconto di Ezio quando il protagonista, soddisfatto del suo lavoro letterario, va a farsi una doccia e, mentre lui canta Guardo gli asini che volano nel ciel (titolo originale A zonzo, dal film I diavoli volanti di Edward Sutherland, 1939, cantata da Laurel & Hardy, in Italia Stanlio & Ollio), che stacca con la colonna sonora del film quasi completamente incentrata sulle canzoni di Paul Simon, la mdp se ne va curiosando per la casa scorgendo tutta una serie di particolari di cui lo spettatore non era a conoscenza. Viene inquadrato un tavolo dove vediamo esserci un foglio su cui è scritto:

Preferisco leggere o guardare un film che vivere …
nella vita non c'è una trama.
Groucho Marx

Poi viene inquadrato un volantino scritto in cinese, dove l'unica scritta comprensibile è Relax Total. La mdp si sposta ancora inquadrando un modellino di macchina, uguale a quella che aveva la madre di Ezio, con accanto un'ampolla per lavatrici; continuando, scorgiamo una lastra su l'angolo del tavolo e poi per terra l'album di Paul Simon. È la volta di foto di dolci e libri di cucina; poi un poster con scritte cinesi appeso alla parete che raffigura una ragazza che suona il pianoforte con un vestito rosso e lunghi capelli porpora. Infine vediamo su un tavolino delle fotografie e delle cartoline di Panama.
Tutti questi elementi/oggetti, sopra citati, sono ricorsi nel corso del racconto di Ezio, ispirandolo il narratore.
Alla fine scopriamo che anche Caterina (l'amata di Ezio nel racconto) è reale, infatti altri non è che la sua vicina di casa di cui il protagonista è visibilmente invaghito, un amore però il suo chiaramente non dichiarato e forse neanche ricambiato.
Anche l'ultima inquadratura del film è un richiamo alla storia di Ezio: un gabbiano che vola nel cielo di Milano. Questo riporta alla mente una battuta dello stesso protagonista verso la metà del film (esattamente un minuto prima di investire Anna con la bicicletta, evento che lo catapulterà nell'universo delle due famiglie) che si domandava tra sé e sé “che cazzo ci fa un gabbiano in una città dove non c'è il mare?”.

MARIANNA CAPPI, Pressbook - Happy Family, 26 Marzo 2010, www.mymovies.it.
CLAUDIA MORGOGLIONE, Salvatores: “ho riscoperto il lieto fine contro l'Italia delle bugie e della paura”, «La Repubblica», 17 Marzo 2010.
CARLO PROVOSTI, Happy Family, di Gabriele Salvatores - La recensione in anteprima, 26 Marzo 2010, www.cineblog.it.

http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=47715&film=Happy-Family

http://it.wikipedia.org/wiki/Happy_Family_%28film%29

"I ragazzi stanno bene" di una famiglia particolare



La regista Lisa Cholodenko, con sagacia e sottile accortezza, descrive le vicissitudini di una famiglia, composta da una coppia lesbica, Nic e Jules, in modo ordinariamente “naturale”, tant’è che i due figli, Joni e Laser, non soffrono di questa diversità rispetto ad una famiglia naturalmente normale.
Ad un certo punto, Laser mosso da un istinto genetico spinge la sorella Joni, divenuta maggiorenne, a cercare il loro padre, che ci riesce con successo. Tant’è che con il padre, di nome Paul, un dongiovanni scapolo, instaurano un rapporto di amicizia e anche di affetto vicendevole, quale può essere la normale relazione tra padre e figli, a tal punto che Nic e Jules sono indotte a inserirlo nel loro nucleo familiare. Nic però non gradisce molto l’intruso, mentre Jules se ne innamora. Paul e Jules, infatti, arrivano ad avere rapporti sessuali continui che minano quel nucleo familiare perfetto fino a quel momento. Nic scopre per caso la tresca, di cui vengono a conoscenza anche i figli, che per questo allontanano per sempre dalla loro vita Paul. Anche Nic respinge per un certo tempo Jules, ma poi grazie all’amore la famiglia riprende l’armonia e il vigore di sempre.
Un film eccezionale nella sceneggiatura e molto bello che tratta un argomento inconsueto come normale che può suscitare irritazione nei moralisti e negli integerrimi conservatori, e che coinvolge lo spettatore senza mai dargli nulla di scontato: dall’inizio sino alla fine c’è un susseguirsi di colpi di scena che creano un trascinamento costante e una partecipazione curiosa e avvincente. (Francesco Giuliano)






Fonti: