var _gaq = _gaq || []; _gaq.push(['_setAccount', 'UA-26218038-5']); _gaq.push(['_trackPageview']); (function() { var ga = document.createElement('script'); ga.type = 'text/javascript'; ga.async = true; ga.src = ('https:' == document.location.protocol ? 'https://ssl' : 'http://www') + '.google-analytics.com/ga.js'; var s = document.getElementsByTagName('script')[0]; s.parentNode.insertBefore(ga, s); })();

sabato 5 novembre 2011

“Missione di pace” di Francesco Lagi, un film farsesco per parlare delle contraddizioni del nostro tempo.




Emergono sin dai primi fotogrammi le contraddizioni tra padri e figli, tra militari e civili, tra regolamenti e non, tra pacifisti e guerrafondai, tra ideologie e realismi, tra imbecillità e ragionevolezza, in questo primo lungometraggio di Francesco Lagi, Missione di pace. Il titolo di questo film è solo un pretesto per evidenziare, divertendo lo spettatore in modo soft e leggero, quanto spreco di denaro, quanta stupidità, quanta insensatezza e ottusità ci sia al mondo. Si descrive una missione di pace nei Balcani con dei soldati che non appaiono per niente militarizzati, che serve solo per catturare un colonnello senza scrupoli, criminale di guerra che uccide senza motivo e senza pensarci due volte, oppure per costruire una chiesa ortodossa demolita dai bombardamenti per far contenti dei preti ortodossi o anche per porre una pesante campana bronzea nel suo campanile. Si descrive un padre, ufficiale militare (impersonato da un insuperabile Silvio Orlando, reso ancor più simpatico e divertente dalla folta barba), che desidera vedere realizzati finalmente i suoi sogni di gloria, che vengono continuamente compromessi e ostacolati dall’azione ritenuta sconsiderata dal figlio Giacomo, pacifista (interpretato da un pimpante e vispo Francesco Brandi), che secondo i canoni formativi e gli ordinamenti militareschi non è stato educato bene perché ha idee rivoluzionarie, tant’è che sogna sempre Che Guevara, el Che (recitato da Filippo Timi), il quale nell’immaginazione di Giacomo sostituisce la figura paterna. Tra Giacomo e il padre, il capitano Vinciguerra, che col figlio si rifiuta di parlare per una totale mancanza di comunicabilità e un’effettiva contrapposizione ideologica, non ci sono condizioni o prodromi di dialogo. È questo ciò che inizialmente mette in evidenza il regista. Giacomo professa la pace e, quando sa che il padre va in missione di pace, monta un albero di abete sul tetto dell’auto della madre per andarlo a piantare proprio in segno di pace nella ex Jugoslavia, per contrapporlo alle armi, anche se gli viene contestato che l’albero della pace è quello di ulivo. E con questo il regista vuole evidenziare che la nostra mente è intrisa di stereotipi e di convenzioni e di cliché che ci impediscono spesso di agire in modo valido e onesto: non è la specie di albero, ma l’azione che riflette un certo modo di pensare e di essere. Non si fa una missione di pace con le armi, con i carri armati che possono generare solo danni e disastri (vedi il campanile colpito per sbaglio da un colpo di cannone del carro armato), ma con i buoni sentimenti genuini e con i qualsivoglia simboli che esprimono questi! È questo soprattutto il messaggio che vuol dare il regista, assieme ad un altro importante insegnamento: alla fine l’azione e il modo di pensare dei figli viene condiviso dai genitori. E lo fa con un sorriso e facendo sorridere. Nel film recita la bella Alba Rohrwacher anche se la sua bravura non è stata valorizzata al punto giusto.