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mercoledì 26 ottobre 2011

LA RICERCA DELLA FELICITA'

Primo film di produzione hollywoodiana, girato nel 2006, per il celebre regista italiano Gabriele Muccino, che ci racconta una toccante storia vera datata anni 80.
Il protagonista Chris Gardner (interpretato da Will Smith) si trova a dover affrontare un periodo di grosse difficoltà economiche dovute ad un lavoro di rappresentanza che non funziona e che manda in pezzi di pari passo la situazione familiare. La moglie, esasperata dai continui insuccessi di Chris e da un certo suo atteggiamento e scelte "apparentemente" irragionevoli, lo lascia.
Il riscatto socio-economico del protagonista arriverà a rischiarare questa inquieta vicenda.
Chris riconquisterà una vita dignitosa, passando attraverso giorni vissuti di espedienti e in dormitori di fortuna, col figlio al seguito.
Il film sembra accompagnarci attraverso una forma esemplificativa di società moderna, nella quale si respira un imperativo traguardo da raggiungere: il successo.
Famiglia, amici, valori, tutto insomma può essere subordinato e sacrificato a favore di tal obbiettivo.
Uno spaccato di "sogno americano" che, in realtà, idealizza un comune denominatore agognato da tutte le  civiltà emancipate e capitaliste.
Meravigliosa  la complicità nel rapporto padre-figlio, quasi fiabesco il modo in cui il protagonista riesce a coinvolgere il figlio(vero erede di Will Smith nella vita), celando le difficoltà da loro attraversate in una sorta di gioco.
Gabriele Muccino viene scelto dallo stesso primo attore, che ha visto ed apprezzato il suo "L'ultimo bacio".
Bravo il regista nella rappresentazione delle multiforme sfaccettature dell'essere umano di fronte all'ambivalente proiezione di se stesso tra ragione(gestione raziocinante della vita familiare) e sentimento(ambizione e realizzazione personale).
Elevato l'apprezzamento del pubblico, evidentemente per il livello di immedesimazione su questa controversa tematica del riscatto sociale.
Ciò che rimane nel cuore a fine proiezione è un semplice ma fondamentale insegnamento per tutti: "credete in voi stessi e inseguite i vostri obbiettivi con tenacia, passione e onestà". 
E non è poco!
Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=lkmi1F0Ccfc
Muccino:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/10/silvio-muccino-un-artista-dell-amore.html

“This must be the place” – Il viaggio di un uomo alla ricerca di se stesso!

Titolo: This Must Be the Place
Regia: Paolo Sorrentino
Produzione Paese: Italia, Francia Irlanda 2011
Cast: Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten [...]



“This must be the place” che tradotto letteralmente significa “Questo deve essere il posto”, una canzone dei Talking Heads (Teste parlanti), è il titolo del film con il quale il regista Paolo Sorrentino crea un personaggio particolare, sui generis, eccezionale, insolito, non comune, fantastico, che sin dai primi fotogrammi suscita nello spettatore un’inconsueta curiosità, un’incontrollabile attrazione mista a forti emozioni, che originano subitaneamente un istintivo rapporto empatico travolgente spettatore-attore. Una metafora dei giorni nostri che ci fa riflettere sul nostro modo di vivere frenetico, stereotipato, superficiale, distratto, formale e insensibile.

Il regista descrive il personaggio del film con una sottile, quasi trasparente, impercettibile ma realistica vena poetica romantica, esaltando i sentimenti di un uomo (fedeltà coniugale, altruismo, generosità, ecc.), la sua spontaneità, il suo comportamento curioso, la sua stravaganza (la piscina vuota usata per giocare e non per nuotare), la sua andatura e il suo modo di parlare lenti, pacati, monotoni, che subito contrastano con gli stereotipi moderni e con la vita frenetica della nostra società, caratterizzata da una disumana superficialità, che induce ogni individuo a trascurare l’intima essenza dell’uomo e a non dare un significato al senso della vita. Cerca, in definitiva, il regista di dare voce al turbamento e all'irrequietudine dell’animo umano, al contrasto tra presente e passato, al fluire di quest’ultimo in modo così repentino da dare adito a tormentosi rimpianti e alla consapevolezza di aver commesso irreparabili errori. Usa, dunque, il regista la strada del romanticismo che gli permette di far leggere allo spettatore dentro l’animo di Cheyenne, il protagonista del film, e di metterne in luce quegli stati d’animo che sono universali e accomunano tutti gli uomini. C’è romanticismo nell’andatura lenta, a piccoli passi di Cheyenne, e nell’ascoltare quello che il cuore gli dice, nel volgere lo sguardo al suo passato e nel ricordare gli insegnamenti ricevuti, gli affetti dimenticati, nella spontaneità delle sue manifestazioni. C’è romanticismo nella descrizione di una brutta notizia – il padre che abita lontano è in fin di vita –, che gli fa affiorare in modo turbolento alla mente il triste ricordo del suo rapporto con la figura paterna con cui da trent’anni non si parla, c’è romanticismo nei rapporti interpersonali del protagonista.

Cheyenne, è una famosa rockstar cinquantenne, ormai in pensione, che ama portare una folta capigliatura e truccarsi come una donna, vestendo così una maschera che annulla la sua personalità, perché la maschera (“maschera” dal greco prosopon assume il significato in latino di “persona” e, come pronome indefinito nel francese personne, il significato di “nessuno”) annulla, nasconde la personalità individuale. Cheyenne intraprende allora un lungo viaggio da Dublino a New York, per assistere il padre durante gli ultimi istanti di vita. Prende la nave perché ha paura dell’aereo. Arriva per questo in ritardo. Trova il padre ormai morto. Sente un vuoto nel suo animo, allora, che cerca di colmare proseguendo nella ricerca affannosa di un vecchio ufficiale nazista, ricerca che il padre di origine ebrea aveva intrapreso per vendicarsi dell’umiliazione ricevuta durante la sua prigionia in un campo di concentramento, al tempo della seconda guerra mondiale. Cheyenne, dunque, incomincia un viaggio, che, a dirla con Schopenauer, rappresenta la ricerca di se stesso e dell’affetto che forse il padre nutriva per lui, dunque la ricerca di un “bene infinito”. Durante questo viaggio, infatti, gli torna in mente l’età giovanile caratterizzata da una profonda distrazione che non gli ha fatto cogliere l’essenziale dei comportamenti umani ma lo ha diretto verso il superfluo e l’effimero, si rammenta dei valori che il padre voleva trasmettergli, come la perseveranza e la riconoscenza, e comprende ora cosa vuol dire umiliazione, annichilimento della dignità umana, distruzione della personalità individuale. Soltanto la vendetta può emendare il danno psicologico e fisico subiti dal padre. La vendetta genera odio, e l’odio induce alla guerra, alla morte, all’eliminazione fisica dell’avversario. Meglio un’altra fine molto più giusta e più umanamente condivisibile, quella di infliggere al tormentatore altrettanta umiliazione: costringerlo a stare completamente nudo in mezzo alla neve. Cheyenne, dopo aver raggiunto lo scopo del padre, torna dal viaggio, si toglie il trucco e si taglia i capelli, trasformandosi così all’età di cinquant’anni da bambino a uomo.
Sean Penn, premio Oscar 2009, interpreta magistralmente Cheyenne mentre Frances McDormand, anche lei premio Oscar 1997, impersona la moglie Jane.
Francesco Giuliano




Pranzo di Ferragosto, il divertente debutto di Gianni di Gregorio.

Pranzo di Ferragosto, è una commedia scritta, diretta e interpretata da Gianni di Gregorio ed è tratta da un fatto realmente accaduto. La pellicola uscita nel 2008 ha ricevuto vari riconoscimenti alla Mostra del Cinema di Venezia come miglior regista esordiente dell'anno, aggiudicandosi i David di Donatello e i Nastri d'Argento. Il film ha vinto anche il Premio Vanzina Opera Prima "Luigi de Laurentis".
La commedia racconta di Gianni, romano, alle prese con una mamma un pò capricciosa ed eccentrica, insieme alla quale offrirà ospitalità ad altre mamme abbandonate a causa di alcuni "contrattempi" dei propri familiari.
Tutti gli interpreti del film (a parte Gianni di Gregorio e Alfonso Santagata) sono attori non professionisti, ma il regista sullo sfondo di una Trastevere insolita, deserta, riesce a dirigere un cast di vecchiette in maniera brillante e neorealista, rendendo la pellicola ironica e genuina risaltando con spassosa tenerezza i vizi e le virtù di una generazione poco raccontata dal cinema italiano.
Il film è stato prodotto da Matteo Garrone, il quale ha partecipato anche alla sceneggiatura e distribuito dalla Fandango.

Gianni Di Gregorio:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/10/pranzo-di-ferragosto-il-divertente.html
Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=3AkosFliKG8

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Pranzo_di_ferragosto

Romanticismo ed epicureismo nell’ultimo film di Gus Van Sant: L’amore che resta.



“L’amore che resta” è l’ultimo film di Gus Van Sant (regista dell’indimenticabile e originale “Scoprendo Forrester” con l’insuperabile Sean Connery)) con due giovani attori, Henry Hopper e Mia Wasikowska, che personificano rispettivamente due giovani ventenni, Enoch e Annabel. In questo film il regista, che mette sempre sul primo piano, in chiave psicologica, la sensibilità, la fragilità e il disorientamento dei giovani nella società moderna, affronta un tema interessante, quello dell’Amore e della Morte, tanto caro a Giacomo Leopardi che, nel canto, Amore e Morte, con un incipit di Menandro “Muor giovane colui ch’al cielo è caro”, così recita “Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ Ingenerò la sorte./ Cose quaggiù sì belle/Altre il mondo non ha, non han le stelle./ Nasce dall’uno il bene,/ Nasce il piacer maggiore/ Che per lo mar dell’essere si trova;/ L’altra ogni gran dolore,/ Ogni gran male annulla.” Detta così, e avendo preso come riferimento uno dei più grandi poeti pessimisti del romanticismo italiano, sembrerebbe che il film avesse una piega tristemente malinconica e dai primi fotogrammi dà allo spettatore questa idea. Enoch, infatti, uscito indenne da un brutto incidente dove sono morti i suoi genitori, è un giovane chiuso e infelice che, vestito di nero di tutto punto, partecipa ai funerali di estranei. Forse lo fa per colmare la profonda mancanza generata dal fatto che non ha potuto assistere al funerale dei genitori né vederli per l’ultima volta poiché in quel tempo era in coma, oppure lo fa per poter vedere nel morto i propri genitori. In uno di questi funerali conosce Annabel e, come un lampo a ciel sereno, se ne innamora in un attimo. E allora amare è come morire, come sostenta ancora, nel medesimo canto, Giacomo Leopardi “Quando novellamente/ Nasce nel cor profondo/ Un amoroso affetto,/ Languido e stanco insiem con esso in petto/ Un desiderio di morir si sente:/ Come, non so: ma tale/ D’amor vero e possente è il primo effetto.”
Nel momento in cui, tuttavia, la vita di Enoch sta per avere una svolta ingenerante un cambiamento positivo e, di conseguenza, sta per fargli cogliere una felicità tanto agognata, viene colto da un’angoscia profonda nell’attimo in cui apprende che alla sua amata Annabel, malata terminale per un cancro, rimangono pochi mesi di vita. Alla disgraziata fine dei genitori che aveva relegato Enoch in una depressione paurosa, quasi irreversibile, se ne aggiunge ora un’altra, che gli appare ancora più sconvolgente. È qui che nel suo svolgersi il film acquista un andamento, a parer mio, dai connotati epicurei, perché si svolge essenzialmente attorno al tema del Carpe diem di oraziana memoria, (come postula il poeta latino Orazio nella XI ode dedicata a Leuconoe) “carpe diem, quam minimum credula postero”, in quanto i due giovani cercano di vivere la vita, momento per momento, incuranti della triste certezza del domani funesto. Anche perché, nella disumana situazione di Annabel, il film dà un messaggio di particolarità originale: non serve a niente sperare, in quanto la speranza risulta vana e illusoria, come sostiene il filosofo Luc Ferry secondo cui “... la speranza non solo ci mette in uno stato di tensione negativa, ma ci priva anche del presente: preoccupati di un avvenire migliore, dimentichiamo che l’unica vita che valga la pena di essere vissuta, la sola che,molto semplicemente, esista,è quella che si svolge sotto i nostri occhi,qui e ora”. Per questo hanno fatto bene i due giovani a non sperare che la penosa prospettiva palesata volgesse per il meglio, ma a godere del tempo rimanente ad Annabel facendo esplodere e realizzare i loro sentimenti più genuini. L’epicureismo, in questo bel film, risalta ancora dalla contrapposizione della brevità della vita all’amore che resta dopo la morte o, in senso ottimistico, perché la morte altro non è che la prosecuzione della vita stessa. Allora piuttosto che piangersi addosso – questo penso voglia essere il messaggio del regista -, non è meglio godere dei momenti felici, di quei momenti in cui l’amore sboccia come un fiore delicato, profumato, e sensibile che rende la vita colorata e apprezzabile? Carpe diem, dunque. E un altro messaggio che ho colto come spettatore è che ognuno di noi sa che deve morire ma non sa quando. Ebbene dove sta la differenza visto che la morte accomuna tutti gli esseri viventi? Non essendoci, allora, differenza tra chi sa quando approssimativamente deve morire e chi, invece, non lo sa, a che serve pensare al domani trascurando di captare i momenti felici e viverli intensamente?

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=ffQM4zDcse0

Fonti
Dal canto XXVII, Amore e Morte (1-10 e 27-33) - I canti (introduzione e commento di Mario Fubini e con la collaborazione di Emilio Bigi) di Giacomo Leopardi –– Loescher, 1964
Luc Ferry (trad. di Simona Martini Vigezzi) – Al posto di Dio – Sguardi Frassinelli






Il Siero della Vanità, un giallo che non convince.

Il Siero della Vanità di Alex Infascelli uscito nelle sale del 2004, prende spunto dal giallo di Niccolò Ammaniti. La trama si sviluppa attorno alla scomparsa misteriosa di alcuni personaggi famosi della televisione trash. Le indagini saranno affidate a due ispettori di polizia, interpretati da Margherita Buy (nel ruolo di Lucia Allesco) e da Valerio Mastrandrea (Franco Berardi) i quali cercheranno di capire il legame che accomuna le vittime, ricercando la verità in una Roma malata di protagonismo e despressione.
La pellicola purtroppo non riscuote i consensi ottenuti per Almost Blue, le scene scorrono senza mai creare tensione nello spettatore, il coinvolgimento emotivo è debole. L'esperienza di Infascelli per i videoclip stavolta non basta, e la scelta di non utilizzare un tecnico della fotografia come Arnaldo Catinari si fa sentire, le immagini non conquistano e la colonna sonora affidata a Marco Morgan Castoldi risulta più seducente di tutto il film.

Alex Infascelli:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/10/alex-infascelli.html
Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=n3Kwv6JTNfE

Fonti:
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=35012

Lucio Pellegrini, una carriera tra cinema e televisione

Lucio Pellegrini è nato ad Asti il 20 Ottobre del 1965, è un regista e autore televisivo piemontese. Nei primi anni della sua carriera si è occupato di televisione, tra i suoi programma possiamo ricordare "Target", e "Ciro, il Figlio di Target". Già nel 1999 dirige il suo primo film, "E allora Mambo", che vede come attori Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, gli stessi attori  lo avevano accompagnato in molti dei programmi televisivi scritti dallo stesso Pellegrini. Il film ha un discreto successo, di pubblico e di critica, si tratta di una commedia drammatica ottima per essere un esordio e Lucio Pellegrini realizza l' hanno successivo un nuovo film, con un cast molto simile al precedente, "Mambo".
Negli anni successivi Pellegrino dirige altri 4 lungometraggi, l' ultimo, nel 2011, "La Vita Facile" e varie serie televisive, ad esempio la "Strana Coppia", proseguendo una carriera che pur senza punte di eccellenza è ricca di produzioni di qualità.

Filmografia:
"E Allora Mambo!" (1999).
"Tandem" (2000).
"Ora, o mai più" (2003).
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/ora-o-mai-piu-il-terzo-film-di-lucio.html
"La vita è breve, ma la giornata è lunghissima" (2005). Girato in collaborazione di Gianni Zanati.
"Figli delle Stelle" (2010).
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/figli-delle-stelle-una-commedia-di.html
"La Vita è Facile" 2011.
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/la-vita-facile-l-ultimo-film-di-stefano.html