var _gaq = _gaq || []; _gaq.push(['_setAccount', 'UA-26218038-5']); _gaq.push(['_trackPageview']); (function() { var ga = document.createElement('script'); ga.type = 'text/javascript'; ga.async = true; ga.src = ('https:' == document.location.protocol ? 'https://ssl' : 'http://www') + '.google-analytics.com/ga.js'; var s = document.getElementsByTagName('script')[0]; s.parentNode.insertBefore(ga, s); })();

mercoledì 30 novembre 2011

"Il Senso", una storia di amore e di guerra firmata da Luchino Visconti.


"Il Senso" è un dramma diretto dal Luchino Visconti e uscito nelle sale nell' anno 1954. Il "Conte Rosso" ha tratto il soggetto nell' omonimo racconto scritto da Camillo Boito e ha realizzato la sceneggiatura in collaborazione con Carlo Alianello, Giorgio Bassani, Giorgio Prosperi e Suso Cecchi D' Amico. Le musiche, meravigliose, sono di Anton Bruckner e Giuseppe Verdi, la fotografia di Aldo Graziati  e Robert Krasker, il montaggio è stato realizzato da Mario Sarandrei, la scenografia da Ottavio Scotti e i costumi curati in collaborazione Piero Tosi e Marcel Escoffier.
Nel cast, eccellente, come in quasi tutti i film di Visconti hanno partecipato Alida Valli, Farley Granger, Massimo Girotto, Rina Morelli e tantissimi altri.
Le musiche del film sono straordinarie, Visconti, che era anche direttore d' opera,  le seleziona divinamente, le immagini e le scenografie stupende e curatissima, anche grazie al cospicuo budget a disposizione del regista.
Il film è ambientato a Venezia, nel 1866, durante i moti per l' indipendenza, la trama racconta un complesso intreccio tra vicende d' amore, guerra e  politica.
Nel teatro "La Fenice" di Venezia alcuni patrioti italiani distribuiscono volantini, il Tenente austriaco Franz Mahler reagisce con insulti e per questo viene sfidato dal Conte Ussoni.
La polizia austriaca arresta per un anno il Conte e sua cucina, Livia Serpieri, avvicina il Tenente cercando una mediazione. Terminerà innamorandosi e rovinandosi in una relazione clandestina che si svilupperà durante la terza guerra di indipendenza del nostro paese.
Con questo  film eccellente nelle immagini, nelle musiche e nei costumi e con una trama  intensa e drammaticamente appassionante Luchino Visconti si conferma uno migliori registi della storia del nostro cinema.

Uno spezzone da Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=Mi8d3xaWZV4

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Senso_(film)

martedì 29 novembre 2011

Sta ne "La bellezza del somaro" la fuga da questa società urlata.

È un film, quest’ultimo lavoro di Sergio Castellitto, tratto da un racconto della moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini. In esso il regista, che è anche attore, fotografa, in modo alquanto ironico, sottilmente beffardo e beffardamente satirico l’attuale società italiana, mostrandone una fisionomia urlata, squilibrata, dissestata, stereotipata, disorientata, scriteriata, alienata, dove le persone normali, che vivono intorno ai quei valori umani che inducono alla serenità, alla meditazione e alla saggezza, appaiono strane e anormali, superate, “vecchie”.

Si corre.

Si urla.

Non si pensa.

In questa società, dove ognuno si arroga il diritto di assalire l’altro, in modo gratuito e violento, solo per un abitudine consolidata e imposta anche da alcuni programmi e personaggi televisivi, si prevarica senza motivo chi vuole dire la sua liberamente e agire al di fuori degli stereotipi comuni.

Basta una parola per fare scattare l’allarme e assalire l'altro!

Gli impulsi nervosi si trasformano in grida forsennate, fastidiose, insopportabili. Nelle famiglie, poi, si permettono situazioni che fanno raccapricciare e inorridire: i genitori “educano” i figli accettando e condividendo tutto ciò che i figli fanno e gli impongono. Non uno schiaffo né un rimprovero sono ammessi. Tutto è lecito! In questo “frastuono” aggrovigliato, da cui è difficile uscire ed estraniarsi, che avviluppa tutti, una ragazzina si innamora di Armando (Enzo Iannacci) non più nel fiore della gioventù, in cui scopre la “bellezza” che fino ad allora non aveva ancora scorto. Sta proprio quì “la bellezza del somaro” che pascola sereno e tranquillo in mezzo alla purezza della natura e che si mostra indifferente in mezzo a tutto quel putiferio. Sta quì l'essenza del film che vuole dimostrare come in questa società non si riesce a cogliere il carpe diem di oraziana memoria. È come stare in un auto o su un treno che percorre la strada in modo così veloce da non far cogliere la bellezza dei paesaggi che attraversa ai passeggeri.

Quell'atto inconsueto e disinibito della ragazzina scandalizza tutti, ovviamente anche il padre Marcello (Sergio Castellitto) che le sferra uno schiaffo che, a sua volta, sconvolge, turba e indigna gli astanti.

Purtroppo lo spettatore esce stressato per una sceneggiatura che, talvolta, appare sconnessa e che non gli fa gustare il film che, però, in alcuni tratti appare piacevole.



Sergio Castellitto oltre ad essere regista è anche attore di questo film assieme a Barbora Bobulova, Laura Morante, Enzo Iannacci e Marco Giallini.




Fonti:





lunedì 28 novembre 2011

"Amore tossico" il dramma dei giovani degli anni '80

Diretto da Claudio Caligari nel 1983, Amore Tossico è un film drammatico incentrato sul tema della droga, problema che ha visto il coinvolgimento in Italia di molti giovani agli inizi degli anni ottanta , dove, attraverso la stampa affioravano le prime informazioni sull'eroina e sull'AIDS. Interpretato da attori non famosi, tutti ex-tossicodipendenti , il film (come dichiarato dallo stesso Caligari) non ha avuto vita facile perchè le riprese vennero spesso sospese a causa dei problemi degli attori, colpiti da crisi d'astinesta o arrestati per furti dovuti alla ricerca della droga.
La pellicola a sfondo neoralista racconta le giornate di un gruppo di ragazzi romani drogati, Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Loredana Ferrara e Clara Menoria che trascorrono le loro vite tra la Capitale e Ostia, cercando invano di disintossicarsi e avere un futuro diverso.
Il regista in maniera efficace descrive la difficile realtà di questa generazione, e lo fa con uno stile documentaristico, dando importanza ai contenuti piuttosto che ai dialoghi che risultano essere semplici, volgari e poco lineari. Appare evidente l'aridità di alcuni contesti sociali, rappresentati da immagini dure e drammatiche che non lasciano spazio alla censura, nemmeno nelle scene più forti dove gli attori si preparano "la roba" (che per per motivi giuridici, è stata sostituita con un farmaco epatoprotettore) e la iniettano in vena davanti alle telecamere. Evidenti i richiami alle Opere di Pasolini, sia per le ambientazioni che per i dialoghi, tanto che alcune scene finali sono state girate proprio sotto la sua stata ad Ostia.
Caligari parla del dramma dramma di quegli anni e lo fa in modo realistico e duro, prendendo ex tossicodipendenti, facendoli recitare con il loro nome di battesimo e nel loro dialetto borgataro, lasciando tutti i rumori di fondo come in un film-verità.
La pellicola ha vinto il premio speciale al Festival del Cinema di Venazia nel 1983, ed è stato definiti un vero cult movie nel suo genere.
Alcuni ragazzi che hanno partecipato al film (come il protagonista cesare Ferretti) sono morti per overdose o per aver contratto l'AIDS negli anni successivi).

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=Y_0CPkLeUmk

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Amore_tossico

domenica 27 novembre 2011

In Nome Della Legge


Film del 1948 diretto da Pietro Germi, girato a Sciacca , tratto dal romanzo Piccola pretura del magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo. Un vero e proprio western italiano, come lo definì la critica de l'epoca. Racconta la storia di un giovane ed onesto pretore, che non vuole piegarsi a soprusi e a imposizioni di nessun genere, e che vuole affermare e sostenere l'indipendenza e l'imparzialità della giustizia. È una denuncia violenta e implacabile, una documentazione impressionante. Il paesaggio fisico, l'ambiente, i personaggi, i problemi sociali si fondono in una narrazione prettamente cinematografica, anche se talvolta il regista più che alla verità si ispira al mito. Il film ha il merito di non voler dimostrare niente: tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Ciò che conta veramente è la Sicilia dell'interno, assolata, infeconda, chiusa agli estranei, legata a un codice di onore che ha fatto il suo tempo, bruciata dal sole con un respiro di valli e colline che non ha nulla da invidiare al Nuovo Messico o all'Arizona di Ford. Una Sicilia in cui si vedono corriere assai simili alle diligenze del far-west; strade, quasi piste, che si arrampicano tra pietre e terra arsa fino ad un bianco incredibile paesetto semi-deserto, in cui le differenze di classe sono soprattutto indicate dal modo di viaggiare: a piedi i contadini e i minatori, sull'asino gli “intellettuali”, a cavallo la mafia. Dove i banditi e i rapinatori isolati, la mafia e il barone, vile e prepotente a capo del paese, costituiscono i pilastri di una società retta da regole e codici di una ferocia spietata e quasi medioevale, in cui la società moderna finisce con l'essere dominata e vinta del barone, che la mafia protegge e sostiene. La Sicilia ha anche un valore, oltre che strettamente documentario, simbolico: è facile, con simili sfondi, restituire il senso della solitudine dell'uomo, e dei valori arcaici e primordiali che dominano la sua vita.
Il racconto segue la sua via senza concessioni, senza pentimenti, fino alla prima parte del secondo tempo; e sin qui si ha l'impressione di assistere alla nascita di un film quasi memorabile, anche se il contenuto idillio fra la baronessa e il pretore sia un po' forzato. Ma poi il film ha degli indugi, per infine, ripiegarsi su se stesso. La conclusione, che la logica imporrebbe, è appena intravista e poi abbandonata, questo film coraggioso non ha il coraggio di esserlo fino in fondo. Quando tutto vorrebbe che il giovane pretore abbandonasse sfiduciato la lotta, e la mafia ancora una volta trionfasse, si assiste invece ad un ampio e retorico lieto fine. La norma della mafia, infatti, riconoscerà il suo errore e si sottometterà alla legge. L'immagine che Germi ci da è quella di una mafia dominata da antiche leggi e codici ben precisi, una mafia che in alcuni momenti appare quasi più dignitosa e leale rispetto a quelli che dovrebbero essere i “buoni”. Malgrado questo, si tratta pur sempre di un'opera che molto onera il cinema italiano, grazie soprattutto alla presenza di alcune scene tra le più belle del nostro cinema.




Fonti:

In Stefania Carpiceci (a cura di), Pietro Germi. Viaggio nel cinema italiano, Massenzio, Roma, 1995.
Paolo Gobetti, L'Unità, 31 Marzo 1949.
Mario Gromo, Film visti, pag. 316-317, 1949.
Pietro Bianchi, Candido, 3 Aprile 1949.

La storia recente dell’Italia nel film BAARÌA di Giuseppe Tornatore





Quanto amore per la sua Sicilia manifesta Giuseppe “Peppuccio” Tornatore nei suoi magnifici film (Non si può dimenticare il suo capolavoro, con cui suggella il suo amore per il cinema, Nuovo Cinema Paradiso del 1988 con un grandissimo Philipp Noiret) e la descrizione dei luoghi meravigliosi che vengono fuori da un paesaggio apparentemente rude, ma attraente, quello siciliano, in cui si svolge la vita degli umili e dei diseredati, con tutta la disperazione che si portano appresso senza possibilità alcuna di potersela togliere d’addosso.



Ebbene, Tornatore nel suo ultimo film, Baarìa - di cui si è detto già tanto e di cui io dirò soltanto adesso dopo aver visto il film - parla della sua terra natìa, Bagheria nell’entroterra palermitano, a partire dal tetro e oscuro periodo fascista attraverso la seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri, e ne descrive la miseria, la fame, la desolazione amara, lo sconforto e la proverbiale disperazione. Lo fa con delle immagini crude, naturali, selvagge, a volte sgradevoli, spietate così come fa il suo conterraneo Renato Guttuso, grande pittore, che sostiene, a proposito del suo quadro l’Occupazione delle terre incolte: i contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono dei loro, i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia, contadini siciliani che sono tanta parte della storia d'Italia…, (presentato alla Biennale di Venezia del 1950). O come fa il saggista Pasquale Villari che descrive la Sicilia, un luogo dove si trovano i feudi e i contadini più poveri o proletari. I borghesi arricchiti, i proprietari negozianti pigliano a gabella gli ex feudi, che subaffittano ai contadini, dividendo le vaste tenute in porzioni, delle quali serbano per se stessi la migliore e fanno contratti di subaffitto, diversi, ma sempre onerosissimi per i contadini. Oppure, come afferma Francesco Giuliano nel suo romanzo Come fumo nell’aria (ed. Prospettiva editrice): la differenza la fanno le leggi scritte e non scritte da quelli che hanno in mano il potere, e nel passato questo è stato esercitato dai baroni. È per questo che se i poveri rubano vanno a finire in galera, mentre se rubano i ricchi o i furbi non gli succede niente, anche se di fronte a Dio non hanno nessuna giustificazione delle loro malefatte. Ogni domenica, infatti, rispetto agli altri giorni, hai notato che in chiesa dinanzi al confessionale c’è una lunga fila di queste persone che vogliono confessarsi per farsi perdonare i peccati che hanno commesso? Capisci dunque che buona parte delle norme legislative è stata scritta a loro favore. Poi c’è il potere dei prepotenti e su quello le leggi non hanno alcun controllo. Se i nostri desideri, le nostre necessità, i bisogni fondamentali della nostra esistenza, le nostre speranze dipendono da un altro, è evidente che questo ha potere su di noi.


A livello emotivo, tante sono le impressioni donatemi da questo film. L’identificazione, fin dai primissimi fotogrammi, con la mia realtà di origine: l’atmosfera rurale, la nostalgia per quei luoghi di sofferenza, la voglia di emancipazione dalle proprie radici, l’accento sui comportamenti diffusi e a volte stonati del gregge, e le sensazioni raccontate magistralmente dal regista, che ha saputo trattare argomenti a volte personali in modo talmente dettagliato e lirico da rendere inevitabile l’identificazione dello spettatore che abbia vissuto esperienze anche lontanamente simili nell’altro capo dell’Italia. Favorendo così il passaggio dal particolare all’universale.


Tornatore in Baarìa coglie, dunque, il pretesto per parlare della sua Sicilia una terra fertile, bella e arcigna, fascinosa e attraente, misteriosa e arcana, emozionante, incantevole, fruttifera, rigogliosa così come la aggettiva parallelamente ne I sassi di Kasmenai (ed. Il foglio letterario), lo stesso Francesco Giuliano, anch’esso siciliano, dal cui romanzo emerge una fioritura di sapori e profumi, una mescolanza di emozioni vissute in quella terra, dove le storie personali sono troppo spesso ridotte a dettagli inconsistenti, in favore di una prospettiva storica più ampia: la storia omogeneizza i comportamenti di tutti gli uomini, annullando così quella dei singoli. Dove il particolare pian piano assume valore universale.


In Baarìa, lo spettatore ingenuo e poco acculturato, che non fosse sensibile né interessato ad uno scibile tanto ampio e variegato come quello che distingue il film, si trova comunque di fronte a due alternative: apprendere quanto spiegato nel film cercando di trovare un nesso tra il tema proposto e la realtà o limitarsi a fruire della storia ad un livello più superficiale, ma altrettanto dilettevole. Molti film hanno un doppio livello di significato: uno spettatore semplice può valutare la favola del corvo e della volpe di Esopo, come il semplice resoconto di una disputa di animali, ma risulterebbe molto difficile non avvertire tra i fotogrammi una lezione di carattere universale, e chi proprio non ne fosse capace avrebbe perduto il senso più importante del racconto.


Giuseppe Tornatore coglie, quindi, il pretesto di parlare dell’Italia e delle condizioni della sua gente e alcune frasi fanno afferrare in modo repentino il significato del film. Come quella che pronuncia il protagonista Peppino (Francesco Scianna) quando afferma che Sono uno di quelli che vorrebbe abbracciare il mondo ma ha le braccia corte, oppure, quella ancora più greve Un riformista è uno che sa che sbattendo la testa contro un muro, è la testa che si rompe e non il muro e che vuole cambiare il mondo col buon senso. O ancora quella ancora più disperatamente triste di Nino (Salvatore Ficarra) Voglio morire perché qui non succede niente. Questo modo di pensare e quindi il carattere di essere sfiduciati si può cogliere, anche se riferito ad un contesto culturale diverso, nel racconto “Hydra”, del già citato I Sassi di Kasmenai, Non interessava agli abitanti del paese conoscere ciò che i loro progenitori avevano fatto prima di loro; erano dotati di una grande indifferenza ed apatia gli abitanti del paese. Tale insensibilità, purtroppo, ha determinato gradualmente la distruzione di un patrimonio archeologico vecchio di migliaia di anni, utile per comprendere il passato dei popoli che hanno abitato in quei luoghi prima ancora della dominazione greca. Purtroppo un popolo che distrugge i resti del proprio passato è un popolo che distrugge se stesso, soffoca la propria anima, annienta la propria identità, si svuota di significato, non può acquisire i valori umani a fatica conquistati nel tempo dai suoi progenitori, rimane privo di sentimenti. Definitivamente. Per sempre.



Giuseppe Tornatore per fare afferrare il senso di un realismo pessimistico del film, non solo fa parlare i protagonisti, ma anche presenta parimenti alcune scene, spietate metafore, come quella della corsa sfrenata e inconcludente di Peppino ancora bambino o come quella che descrive la villa Palagonia o villa dei Mostri di Bagheria che per essere raggiunta (il trionfo e il riscatto) bisogna attraversare (vincere) un corridoio costellato di mostri (la mafia e lo strapotere) o come quella in cui Peppino riesce a fare ciò che nessuno era riuscito a fare prima di lui, cioè a colpire con lo stesso lancio di una pietra successivamente le tre cuspidi di una roccia sulla collina che domina Bagheria, ma invece del promesso tesoro affiora un covo di serpi (la mafia).



Bravissimo dunque Giuseppe Tornatore che ha costellato questo film con attori famosi e bravi, tra cui, oltre al citato Francesco Scianna, Margareth Madè, Nicole Grimaudo, Lina Sastri, Angela Molina, Salvatore Ficarra e Valentino Picone, Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Vincenzo Salemme, Michele Placido, Donatella Finocchiaro e tanti altri ancora.






Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Guttuso

http://www.prospettivaeditrice.it/libri/schedeautori/giuliano/giuliano1.htm

http://edizioniilfoglio.blogspot.com/2008/11/i-sassi-di-kasmenai-su-latina-notizie.html

http://www.mymovies.it/film/2009/baarialaportadelvento/

venerdì 25 novembre 2011

"Ora, o mai più", il terzo film di Lucio Pellegrini.

"Ora, o mai più" è un film diretto da Lucio Pellegrini e uscito nelle sale nell' anno 2003.
Il regista, assieme a Angelo Carbone e Roan Johnson , è autore anche del soggetto e della sceneggiatura. Il montaggio del film è stato curato da Walter Fasano, le musiche da Giuliano Taviani e la fotografia da Gherardo Grossi.
Nel cast hanno partecipato Violante Placito, Elio Germano, Jacopo Bonvicini, Edoardo Gabbriellini, Toni Bertorelli, Camilla Filippi e tanti altri.
La trama racconta di uno studente modello della Normale di Pisa che quasi  laureato si innamora  di una ragazza che lo inserisce nell' ambiente dei centri sociali e della sinistra extraparlamentare. La sua vita non sarà più la stessa e il suo modo di pensare sarà rivoluzionato.
Lucio Pellegrini si conferma tra i migliori registi italiani dell' ultimo decennio dirigendo una commedia drammatica, ricca di spunti e idee.

Lucio Pellegrini:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/10/lucio-pellegrini-una-carriera-tra.html
Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ora_o_mai_pi%C3%B9

Streaming del film completo su Youtube:

giovedì 24 novembre 2011

I fattori che inibiscono gli impulsi vitali e di crescita dei giovani nel film “La kriptonite nella borsa” di Ivan Cotroneo






Anch’io “quando ero piccolo” – parafrasando al maschile la canzone cantata (1968) dalla grandissima Mina nel film – leggevo il fumetto di Superman e mi dispiacevo ogni volta che questo simpatico supereroe perdeva i suoi superpoteri per la vicinanza del minerale immaginario “kriptonite” originario del suo pianeta natale Kripton. Questo è anche il nome di un elemento chimico (gas nobile) che in greco antico significa “nascosto”. E non è stato un caso la scelta di questo nome: la “kriptonite”, anche se “nascosta” purché vicina, agisce da inibitore, che è una sostanza che blocca l’azione di un catalizzatore, un’altra sostanza che, invece, aumenta la velocità di una reazione chimica.

In una Napoli effervescente di colori, di balli e di musica, come il Sirtaki (la cui musica venne composta nel 1964 da Mikis Theodorakis per il film Zorba il greco, interpretato dall’insuperabile Anthony Quinn), che rimase per molto tempo nella fantasia degli spettatori, dove il ritmo aumenta passo dopo passo, si susseguono e si intrecciano le vicende di questo film d’esordio del regista Ivan Cotroneo che usa la "kriptonite" come metafora per evidenziare che ognuno di noi può comportarsi nella vita come un supereroe fino a quando i suoi sentimenti non vengono inibiti, repressi, soffocati, frenati, dominati, quei sentimenti e quei pensieri che catalizzano il nostro modo di essere e fanno esplodere tutta la nostra vitalità e l’entusiasmo che è in noi.
Ivan Cotroneo per fare questo sceglie la famiglia ed un periodo storico della nostra società - i primi anni settanta, conseguenti agli anni sessanta o meglio al sessantotto -, in cui i fermenti impetuosi, i fervori passionali, le inquietudini giovanili, le novità effervescenti, l’amore libero, l’incipiente femminismo e le prime esperienze morfeiche affidate all’acido lisergico sintomatico di realistiche illusioni, avevano creato nei giovani delle aspettazioni e delle speranze che purtroppo - come si è visto poi - sono state inibite, represse, oppresse, impedite, ostacolate.
Il regista fa ciò in diversi modi e da diverse angolature, srotolando la pellicola sulle vicende che si svolgono attorno al simpatico bambino Peppino, protagonista predominante del film (Luigi Catani), figlio di Rosaria (Valeria Golino) e di Antonio (Luca Zingaretti). Il regista, infatti, lo fa mostrando inizialmente le fisime ossessive di Gennaro (Vincenzo Semolato) che credendosi un supereroe muore finendo sotto un tram. Il regista lo fa anche capire descrivendo come la serenità familiare possa essere repressa quando la moglie Rosaria scopre che il marito Antonio la tradisce ed entra in depressione mandando all’aria tutto e affidandosi alle cure del valente psichiatra Matarrese (Fabrizio Gifuni). La vergogna conseguente al tradimento e non il tradimento in sé è la fissazione struggente della donna, particolare bizzarro.
Il regista usa, in quel contesto, come appassionante cornice, la canzone di Mina “Quand'ero piccola/ dormivo sempre al lume di una lampada/ per la paura della solitudine/ paura che non mi ha lasciato mai/ nemmeno adesso che sei qui/ e dormi accanto a me/ ma sento che i tuoi sogni ti allontanano/ perché per quelli che si amano/ non c'è, non c'è/ lo stesso sogno da sognare in due…” che suscita negli spettatori istintive emozioni e, in quelli di una certa età, anche nostalgici ricordi. E proferisce con le note della canzone di Peppino di Capri Nun è peccato (1964) - “Si mme suonne 'int''e suonne che faje,/ nun è peccato!.../ E si, 'nzuonno, nu vaso/ mme daje.../ nun è peccato!.../ Tu mme guarde cu ll'uocchie 'e passione,/ io te parlo e mme tremmano 'e mmane.../ e si chesto pe' te nun è bene,/ mme saje dicere 'o bbene ched è?/ Si 'sta vocca desidera 'e vase.../ nun è peccato!/ Ma vestímmolo 'e vita stu suonno/ che 'a freve ce dá.../ E tu abbràcciame,/ cchiù forte astrìgneme.../ pecché 'ammore/ ca siente pe' me,/ peccato nun è!...” - come certi stereotipi inibiscano i sentimenti: l’innamoramento della giovane Titina (Cristiana Capotondi) con un giovane portatore di un handicap fisico inibito dal timore che per questo non possa essere accettato dal padre Vincenzo (Sergio Lolli) e dalla madre (Nunzia Schiano), oppure la frenetica ricerca sfrenata di un fidanzato da parte della zitella Assunta (Monica Nappo) che caparbiamente riesce a trovare Arturo (Massimiliano Gallo) ma che si vergogna di presentarlo ai genitori perché poveri.



Bellissime scene rendono ancora più suggestivo e più stimolante il film, tra cui quella del ballo del Sirtaki in una cornice di colori dinamicamente ritmati o quella degli ombrelli di color nero che muovendosi all'unisono e compattamente nascondono completamente il fluire mesto del funerale di Gennaro. E non mancano scene che portano lo spettatore a riflettere sullo stato delle istituzioni fondamentali che sono preposte all’educazione di un bambino: il piccolo Peppino pone nelle tre madri, quella che lo ha generato e che lo accudisce (che rappresenta la famiglia), la maestra (che rappresenta la scuola) e Maria vergine (che rappresenta la religione) delle basi fisse di riferimento essenziali per il suo sviluppo intellettuale e la sua crescita ma purtroppo, col susseguirsi delle vicende che lo hanno interessato e anche afflitto, le cancella via via definivamente dalla prima fino all’ultima, acquisendo nel contempo quegli stereotipi che gli bloccano una libera maturazione psichica e gli conferiscono frustrazioni e delusioni.
Un plauso al regista Ivan Cotroneo che in questo film affronta problemi sociali attuali e agli attori che con la loro bravura fanno sorridere lo spettatore. (Francesco Giuliano)







"La prima cosa bella" Virzì commuove con una commedia dal cuore italiano.

"La prima cosa bella", è un film diretto da Paolo Virzì, uscito nelle sale cinematografiche nel 2010. La sceneggiatura è stata scritta insieme a Francesco Bruni e Francesco Piccolo. La produzione oltre ai fratelli Virzì ha visto coinvolto anche Gabriele Muccino. Il film oltre ad essere stato canditato alla notte degli Oscar come miglior film straniero, ha vinto 3 David di Donatello, 4 nastri d'Argento, Alabarda d'Oro 2010, premi IOMA 2010 e trofeo Ciack al Festival del Cinema di Salerno.
Virzì torna nella sua Livorno per raccontarci la storia di Anna, donna libera, anticonvenzionale, disponibile verso la vita e le persone, intensa al punto da suscitare tanto amore quanto odio da chi la circonda e la ama. I figli, Bruno e Valeria Michelucci oramai adulti, vivono ancora intrappolati in un'infanzia irrisolta messa in ombra da una madre ingombrante. Iniziano così frammenti tra passato e presente della vita di Anna (interpretata in gioventù da un'affascinante Micaela Ramazzotti e da una più dolce Stefania Sandrelli in età adulta) che colpita da un male terminale, continua ancora ad inebriare la vita di chi la circonda, senza temere il tempo, portando i figli a una riconciliazione con le proprie vite.

Virzì continua a farsi portavoce della commedia italiana, quella che racconta stralci di vita vera, dove i personaggi sono alla continua ricerca di un posto nel mondo, ma che come un "uovo sodo" non vanno nè su nè giù". Il ruolo del figlio inadeguato e insoddisfatto travolto dal temperamento madre fin da bambino è meravigliosamente interpretato da Valerio Mastrandrea (Bruno), mentre la solare e spligliata sorella è interpretata da Claudia Pandolfi (Valeria).
La fotografia, diretta da Nicola Percorini, gioca un ruolo fondamentale, contesa tra scenari e musiche degli anni '70 e dei giorni nostri, di un'Italia malinconica che fa da cornice a una commedia piena di sentimento. La canzone "La prima cosa bella" è stata reinterpretata dalla cantante Malika Ayane in occasione dell'uscita del film.

Trailer:

http://www.youtube.com/watch?v=fZAG3kU9Q1E

Video colonna sonora Malika Ayane:
http://www.youtube.com/watch?v=cnrOQGwKxzw


Fonti:
http://www.mymovies.it/film/2010/laprimacosabella/

mercoledì 23 novembre 2011

"Le Notti Bianche", Luchino Visconti porta al cinema il romanzo di Dostoevskij.

"Le Notti Bianche" è un film di Luchino Visconti, ispirato all' omonimo romanzo dello scrittore russo e uscito nelle sale nell' anno 1957.
Luchino Visconti, in collaborazione con Suso Cecchi D' Amico è autore anche della sceneggiatura, le musiche sono state curate da Mino Rota, la fotografia da Giuseppe Ratunno, il montaggio preparato da Serrandrei, le scenografie da Mario Chiari e Mario Garbugli e i costumi da Piero Tosi.
Nel cast hanno partecipato Maria Schell, Marcello Mastroianni, Marcello Rovena, Corrado Pani, Maria Ranoli, Clara Calamari e tanti altri.
Il film ambientato a San Pietroburgo, è però stato girato negli studios di Cinecittà, la trama segue abbastanza fedelmente le linee del romanzo da cui si ispira e il film è un Kolossal che merita di essere visto.

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Le_notti_bianche_(film_1956)

Trailer del film su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=wETanz2vgkE
Il film completo in Youtube:


Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?

"Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l' amico misteriosamente scomparso in Africa" è un film diretto da Ettore Scola e interpretato da attori eccellenti come Mino Manfredi e Alberto Sordi. Il film è uscito nelle sale nel 1969
Il soggetto e la sceneggiatura del film sono stati realizzati dallo stesso Ettore Scola e da Age e Scarpellli, le musiche Armando Travajoli, la fotografia è stata curata da Claudio Cirillo, il montaggio da Franco Arcaldi, la scenografia da Armando Polidori, i costumi da Brana Parmesan.
Nel cast hanno partecipato Alberto Sordi, nel ruolo di Fausto di Salvio, un editore che parte per l' Africa alla ricerca del cognato disperso durante il suo lavoro di inviato all' estero, Mino Manfredi, nella parte Oreste Sabatini, il cognato di Salvio,  Bernard Blier, ragioniere e assistente di Salvio,  Branca Bettoia, Erika Blanc e tanti altri. Il film è prevalentemente ambientato in Africa.
Pressato dalla sorella, Fausto di Salvio, parte, accompagnato dal suo ragioniere per l' Africa, alla ricerca del cognato Oreste, giornalista della sua editoria disperso durante un viaggio di lavoro.
Dopo una lunga e avventurosa ricerca, scoprirà che Oreste è diventato un "Guro" di una tribù locale.
Il film è una graziosa commedia, che dietro una comunque trama divertente non nasconde temi e problematiche di grande profondità.

Il film completo su youtube:
Il Trailer su youtube:

Fonti:

"Accadde al penitenziario", un favoloso cast per Giorgio Bianchi

"Accadde al penitenziario" è un film diretto da Giovanni Bianchi e uscito nelle sale nell' anno 1955, il soggetto della pellicola  è stato scritto da Felice Zapulla, la sceneggiatura preparata da un trio composto da Ettore Scola, Ruggero Maccari e Giovanna Grimaldi, la fotografia diretta da Tonino delle Colli, il montaggio realizzato Adriana Novelli, le musiche da Franco Ferrara e Nino Rota e la scenografia è stata realizzata da Peppino Piccolo.
Nel cast hanno partecipato Aldo Fabrizi (nelle vesti di Cesare, un secondino fin troppo buono con i detenuti), Peppino De Filippo (detenuto per "libera scelta", preferendo la vita "tranquilla" del carcere a quella fuori), Alberto Sordi (un giovane vizioso e con problemi di carattere), Pietro Carloni, Nino Besozzi, Walter Chiari e tanti altri.
Il personaggio principale della storia è Cesare, un agente di custodia, che vive con difficoltà il suo lavoro, perché la sua tolleranza e disponibilità con i detenuti è mal vista dall' ottuso direttore del carcere.
Cesare addirittura compra oggetti e cibo per gli stessi carcerati e a causa della sua grande bontà non riesce a esercitare la propria autorità.
La trama ruota sui rapporti tra Cesare e i detenuti, vengono raccontate storie dei vari protagonisti del penitenziario che viene descritto come un posto tutto sommato umano.
A mio parere, nonostante il cast di altissimo livello il film non è eccezionale, le tematiche  descritte sono deboli, la descrizione dell' ambiente carceraria è distorta dalla reale e il film non fa né ridere, né pensare in maniera particolare.

Il Film completo su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=ue5x27DGh-E&feature=related

Uno spezzone del film su Youtube:

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Io_so_che_tu_sai_che_io_so

martedì 22 novembre 2011

"Finchè c' è Guerra c' è Speranza", Alberto Sordi distrugge l' ipocrisia della società occidentale.

"Finchè c' è Guerra c' è speranza" è un film scritto e diretto da Alberto Sordi e uscito nelle sale nel 1974.
L' attore romano è il vero mattatore del film, interpreta il ruolo dell' attore principale, del regista, è autore del soggetto e della sceneggiatura (quest' ultima in collaborazione con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi). Del montaggio si è occupato Ruggero Mastroianni, delle musiche lo è Piero Piccioni e della fotografia lo è Sergio D' Offizi.
Nel Cast hanno partecipato Alberto Sordi, nel ruolo di Pietro Chiocca un mercante d' armi ossessionato dalla volontà di dare benessere alla sua famiglia, Silvia Monti, nel ruolo di Silvia (moglie di Pietro, mondana e superficiale), e poi anche Alessandro Cutolo, Edoardo Faieta, Mauro Firmani e tanti altri.
La trama racconta di Pietro, un ex venditore di pompe idrauliche che per mantenere l' altissimo livello di vita della sua famiglia si trasforma in un commerciante d' armi. Pietro viaggia in Africa piazzando armi e rispettando il solo principio della convenienza economica.
Mentre vende armi al movimento di liberazione algerino rischia anche di restare ucciso durante un bombardamento.
Ritornando in Italia, dopo uno dei suoi tanti viaggi, viene aggredito verbalmente dalla sua famiglia, un inchiesta giornalistica ha reso noto il suo nome e il suo lavoro, disonorando la stessa...
Nel film Alberto Sordi attraverso contenuti tragicomici descrive l' ipocrisia della nostra società e ci spiega che le colpe di una guerra come anche della povertà africana non sono anche quelle indirette di una società che spesso dimentica che proprio benessere derivi della sofferenza altrui e che piuttosto che cambiare preferisce il non guardare.

Il film completo su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=odeGlYPP6Po

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Finch%C3%A9_c'%C3%A8_guerra_c'%C3%A8_speranza


Una volta tanto i potenti hanno la peggio nel film francese "L'esplosivo piano di Bazil"



Questo film è una favola dei nostri tempi, raccontata secondo lo stile fumettistico, allettante e divertente del regista Jean-Pierre Jeunet. Una commedia, in parte ironica, che narra la vittoria dei deboli sui potenti, (una volta tanto ci vuole!) ma che a volte assume connotati tristi perché si sofferma dei delitti causati dalle armi di qualunque tipo e delle pene che è costretto a subire un povero ragazzo di nome Bazil, che rimane orfano di padre, deceduto accidentalmente per lo scoppio di una bomba. Bazil diventato adulto viene, anche lui accidentalmente, ferito gravemente da una pallottola vagante, rimanendo per questo privo di lavoro. Si vede allora costretto a dormire sotto i ponti e vivere senza fissa dimora. Nel suo girovagare incontra un clochard che gli fa conoscere altri clochard, ognuno dei quali sa fare cose molto interessanti e originali. Con loro Bazil progetta un piano di vendetta che lo vedrà vincitore sui “signori” che si arricchiscono con la vendita delle armi, quelle stesse armi che gli hanno rovinato la vita per sempre. Una favola che, con raffinata delicatezza e originale brio, affronta il tema nefando della produzione delle armi e quello annoso dei rifiuti, dai quali invece si possono ottenere strumenti meravigliosi e straordinari. Una favola che descrive da una parte le nefandezze e lo sfruttamento dei neri per loschi fini e dall’altra la sincera e appassionata umanità che traspare tra i deboli e i miserabili costretti a vivere di tutto quello che viene ritenuto, dalla società opulenta e consumistica, superfluo. Bravo il regista nell’uso della macchina da presa, meravigliosa e fantastica la sceneggiatura e bravo, tra tutti gli attori, Dany Boon che ha saputo interpretare con originalità e con una mimica eccezionale il personaggio Bazil.



Un film francese del 2009 di Jean- pierre Jeunet con gli attori Dany Boon, Nicolas Marié, Jean-Pierre Marielle, André Dussollier, Yolande Moreau, Julie Ferrier e tanti altri. (Francesco Giuliano)






Fonti:



"Il Magistrato", un melodrama sociale di Luigi Zampa.

"Il Magistrato" è un dramma diretto da Luigi Zampa e uscito nelle sale nel 1959.
Luigi Zampa si è occupato anche della sceneggiatura, assieme a Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa, delle musiche è autore Manuel Merino e Gàbor Pogàny, del montaggio Mario Serandrei,  delle musiche lo è Renzo Rossellini, della fotografia Cesare Mogherini.
Nel cast hanno partecipato Francois Pèrier, Jacqueline Sassard, Andrea Morandi, Antonio Acqua, Claudia Cardinale, Maurizio Arena.
La trama tratta delle vicende un Magistrato J. Suarez (interpretato da Morandi) che indagando sul delitto di un imprenditore sociale portuale si imbatte in una serie di turbide vicende.
Zampa realizza un discreto dramma sociale che ha il solo torto di allargare eccessivamente la tematica rendendola parzialmente confusa.

Uno spezzone in spagnolo trovato su Youtube:
Fonti:

lunedì 21 novembre 2011

"Arte di Arrangiarsi", l' italiano descritto da Albertone.

"L' Arte di Arrangiarsi" è un film diretto da Luigi Zampa e interpretato tra gli altri da Alberto Sordi.
Il film uscito nelle sale nel 1954 ed è l' ultimo di una triologia scritta da Vitaliano Brancati, lo stesso Brancati è autore del soggetto e della scenografia, della fotografia è responsabile Marco Scarpelli, delle musiche Alessandro Cicognini, del montaggio Eraldo Da Roma, delle scenografia Mario Chiari e Mario Garbuglia.
Nel cast del film hanno partecipato Alberto Sordi, Elli Parvo, Franco Coop,  Armenia Balducci, Gaetano Verna e tanti altri.
La trama racconta della vita di un uomo,Rosario Scimoni (interpretato dal sempre immenso Alberto Sordi), che pur di vivere una vita accettabile compie una serie di scelte incoerenti e opportunistiche (politiche e non solo).
Il film  che è una satira sul trasformismo e l' istinto a arrangiarsi di alcuni italiani è sicuramente apprezzabile.

Il film completo su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=Ob8sU5Fw9rM
Il trailer su Yoube:
http://www.youtube.com/watch?v=TmUqQSv2cnY

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/L'arte_di_arrangiarsi

giovedì 17 novembre 2011

Sedotta E Abbandonata

Film italiano del 1964, è tra le opere meglio riuscite di Pietro Germi. Viene spesso paragonato al precedente film del regista Divorzio all'italiana, per via di alcuni fattori comuni, quali: il genere comico-grottesco, l'ambientazione in Sicilia, la tematica dell'assurdo pregiudizio dell'onore famigliare, la rabbiosa denuncia sociale verso la folle legislazione italiana.

Racconta la storia di Peppino, un giovanotto della piccola borghesia che aspira ad un posto negli impieghi statali, fidanzato alla figlia maggiore di un benestante, Matilde. La ragazza, addormenteta sia nel fisico che nel metafisico, non si acorge che il fidanzato seduce la sorella minore Agnese, graziosa studentessa che coltiva sogni di evasione sentimentale. La giovane rimane incinta, e la famiglia non impiegherà molto a scoprire l'accaduto. Questo il prologo che darà vita alla storia, per alcuni versi simile alla situazione della “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Ma subentrerà immediatamente un fattore diversificante: il concetto di “onore”. L'autore non ci dice come ha potuto stabilirsi un sistema tanto compatto, dove niente e nessuno sfugge alla legge dell'onore. Ci descrive, però, un mondo chiuso, privo di spiritualità e di calore umano, immerso in una grettezza bestiale. Sedotta e abbandonata vuole essere una rappresentazione totale, e definitiva, di un costume e di una mentalità: è indicativa la rinuncia, rispetto a Divorzio all'italiana, ai congegni della commedia tradizionele e ad un personaggio come quello del Barone Cefalù (Marcello Mastroianni), che di quel costume e di quella mentalità si serviva per i suoi fini, con molto cinismo e non senza equivoche strizzatine d'occhio. Più che di commedia, si dovrebe palare di farsa acre e spietata, di crudo sarcasmo: l'unico “fattaccio” avviene nei primi cinque minuti di proiezione, e il resto non è che un grottesco e barocco rituale per riparare tale disgrazia.

Germi pone a protagonista del film lo straordinario Saro Urzì, impegnandolo senza sosta ed egregiamente in una unica nota urlata, fin nel letto di morte, nelle sua forsennata salvaguardia dell'onore famigliare: un personaggio, questo, che definisce senza mezze misure i guasti di una mentalità e di un costume. Un padre-padrone che è la versione grottesca di quello de Il ferroviere: una forsa della natura completamente in preda al proprio inconscio. La morte del patriarca, esaurito per la troppa energia prodigata, eleva il film ai vertici della tragedia.

Gli altri personaggi sono una serie di “ritrattini” eccellenti, spesso scolpiti fin dalla loro prima apparizione sullo schermo, di cui, i più azzeccati risultano essere, a parte il sanguinario Ursì, Matilde e il marescialo dei carabinieri.

Il ritmo incalzante, serrato, fittissimo, frenetico di tutto il film, dai frequenti risvolti corali di gusto picaresco, è evidente nell'altissimo, assordante, massacrante volume a cui è stata registrata tutta questa sequela di urla isteriche, di insulti, di sghignazzate. La stessa musica del Rustichelli, vivacissima ma sempre ossessiva, prova che Germi ha voluto frustare come divertire.

Il linguaggio impiegato da Germi raggiunge una virtuosistica perfezione in questa pellicola. Lo stile arioso delle immagini della Sicilia serve ad accentuarne la gradevolezza e godibilità. Una Sicilia però, esclusivamente preoccupata dagli affari privati e sentimentali delle famiglie in vista, travolta dalla follia erotica e dal pregiudizio d'onore. Viene completamente abbandonata quella visione della Sicilia molto più seria, che il regista in passato ci avaeva mostrato in In nome dela legge e Il camino della speranza.

L'uso dello zoom, accentuato dal grandangolo, stravolge ogni ricordo del découpage classico rispettato fino a Un maledetto imbroglio. Il racconto avanza vorticoso come un fiume in piena che abbatte ogni argine, sottolineando il perverso godimento del regista nel mettere in campo un bestiario che si abbandona senza ritegno all'eccesso, fino a rischiare il ridicolo, come nelle due scene degli incubi.

Il tema attaccato da Germi è quello riguardante l'articolo della legislazione italiana che attribuiva al matrimonio il potere di cancellare ogni precedente reato dell'uomo nei confronti della donna, dalla violenza al ratto. Il film è molto impegnato ma non abbastanza per rinunciare a gag e comicità. Questa caratteristica pregiudica la comprensione della tematica da parte del pubblico, che ride e non comprende la dremmaticità di quel che succede sullo schermo, non afferra la corretta fruizione del messaggio che il regista voleva trasmettere. Questo è forse l'unico vero difetto di un'opera che risulta essere una pietra miliare nel panorama cinematografico italiano, assolutamente non inferione (per qualità narative, padronanza del mezzo tecnico, abilità nel guidare e amalgamare la reciazione che Germi sottolinea di possedere) alle opere di mastri quali Visconti e Fellini.



Fonti:


Leonardo Autera, in “Bianco e Nero”, n. 2, Febbraio 1964.

Pietro Bianche, in “Il Giorno”, 1964.

Mario Soldati, “L'Europeo”, Milano, 15 Marzo 1964, ora in Id, Da spettatore, Milano, Mondadori, 1973.

Guido Fink, in “Cinema Nuovo”, n. 168, Marzo-Aprile 1964.

Tullio Kezich (1963), in Il Film Sessanta, Il Formichiere, Milano, 1979.

Lino Miccichè (a cura di), “Signore &Signiri” di Pietro Germi. Uno sguardo ridente sull'ipocrisia morbida, Lindau, Torino, 1997.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sedotta_e_abbandonata

http://www.italica.rai.it/principali/multimedia/dvd/sedotta.htm

http://trovacinema.repubblica.it/film/sedotta-e-abbandonata/118417

http://guidatv.sky.it/guidatv/programma/film/commedia/sedotta-e-abbandonata_19638.shtml

"Anche se è amore non si vede", Ficarra & Picone registi di una spassosa commedia.

Ficarra e Picone con il film “Anche se è amore non si vede” si calano nuovamente nei panni di registi-attori, con una nuova commedia che apre le porte alla stagione dei cinepanettoni. La sceneggiatura scritta in collaborazione con Francesco Bruni e Fabrizio Testini è goliardica, divertente ricca di battute esilaranti, il film regala un Happy Hour piacevole pieno di naturale comicità .

Salvo e Valentino (Ficarra e Picone) originari del sud, per vivere girano con un bus turistico facendo da ciceroni ai gruppi in vacanza nella città di Torino. Caratterialmente opposti, Salvo è un single incallito sempre pronto a ingegnarsi per far capitolare tra le sue braccia le ragazze, mentre Valentino fedele ragazzo impegnato da anni con Gisella è sempre pronto a manifestare ossessivamente il suo amore per lei con gesti eclatanti e un po’ imbarazzanti, al punto da suscitarle il desiderio di lasciarlo.
Ma l’arduo compito spetterà proprio a Salvo, il quale cercherà di alleviare le pene dell’abbandonato Valentino, impegnato invece a “sistemare” l’amico farfallone…Entrambi ignari di tutto, tra malintesi, imprevisti e gelosie saranno coinvolti in rocambolesche situazioni a lieto fine… Spassosissima una delle scene finali dove un banchetto di matrimonio sembra diventare una parodia dei film di Bud Spencer e Terence Hill. Le protagoniste femminili Ambra Angiolini, Diane Fleri e Sascha Zacharias così diverse tra loro, riescono a rappresentare in modo divertente e colorato la personalità dei personaggi rendendo la pellicola fresca e mai volgare.

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=BtC-K3nSYm8

La supremazia del maschilismo raccontata con lo stile di Pupi Avati ne “Il cuore grande delle ragazze”




Una storia bizzarra, quella de “Il cuore grande delle ragazze” di Pupi Avati, per certi versi straordinariamente fantastica e vivace anche se in fondo parla di una realtà di altri tempi che sembrano lontani ma che sono molto vicini a noi. Una storia reale, dunque, ambientata in un periodo storico altrettanto stravagante del quale vengono messe in evidenza la stupidità, l’insensatezza, l’avidità e l’arroganza di chi ha lo scettro in mano, dove sono sempre i più deboli a soccombere, come le donne e i miserabili. Una storia reale dove le azioni, molte delle quali appaiono esagerate e insensate, sono fatte di meschinità e miseria, dove il maschilismo ha sempre la supremazia, vuoi per il dongiovannismo mostrato da Carlino Vigetti (Cesare Cremonini), che ha fatto l’amore con tutte le belle ragazze della contrada, vuoi per il capofamiglia Orsi, con il fucile sempre a portata di mano, degno rappresentante di un periodo storico tristemente opprimente e oscurantista. Il periodo è quello dell’Italia fascista, appunto, dove la virilità e la forza sono gli stereotipi fondamentali imposti da un’ appropriata educazione imposta sin dalla tenera età (i balilla ne sono lo stereotipo), da cui non ci si può sottrarre e a cui i deboli devono soccombere. Il debole deve perdere, e anche morire (!), dinanzi al potente: lupus est homo homini affermazione di memoria plautiana e, più relativamente recente, hobbesiana. Una storia, accompagnata dalle bellissime musiche di Lucio Dalla, ambientata in un magnifico paesaggio agreste, fondamentalmente rurale, come lo era l’Italia di quel periodo, rustico, per certi versi anche bucolico, in cui i protagonisti appaiono rozzi, sudici, ovviamente più passionali che razionali, e alcuni anche spregevoli. La vicenda si svolge intorno alla diatriba tra un povero e debole contadino, mezzadro (Andrea Roncato), con tre figli, di cui uno è Carlino appunto, e un arrogante, miserabile e sporco proprietario terriero Sisto Orsi (Gianni Cavina), con due figlie bruttissime da sposare a tutti i costi, ed una terza figlia bellissima, adottiva, Francesca, (Micaela Ramazzotti) che viene scartata da quell’obiettivo. Questo invece viene messo in conto quando casualmente Carlino e Francesca si incontrano e si innamorano a prima vista.


Pupi Avati, attraverso la sua consolidata e oculata esperienza di regista, riesce a descrivere, accostandosi fondamentalmente alla metafora, un periodo storico i cui connotati sociali si ripetono sostanzialmente ancora oggi (purtroppo i fatti di cronaca recentissima dimostrano che il potere ha il predominio su tutto), anche se sotto altra forma, e lo fa divertendosi e facendo divertire il pubblico. Tra gli attori, tutti bravi, spicca la "romanaccia" Micaela Ramazotti, che con il suo modo di fare da "coatta" riesce a farsi apprezzare ancora una volta dopo la favolosa interpretazione de La prima cosa bella di Paolo Virzì. (Francesco Giuliano)

La passione amorosa è un moto rivoluzionario incontrollabile in "Cosa voglio di più"



Uno sguardo fulmineo, insignificante, banale scuote inconsapevolmente i sentimenti, ritenuti fino a quel momento saldi, di un uomo e una donna, li sconvolge, li spinge ad incontrarsi senza una motivazione razionale, senza un pretesto giustificatorio, senza un alibi consolatorio. Lui è un padre di due figli con una bella moglie che gli vuole bene, mentre Lei convive con un uomo che la adora e l’accontenta in tutto e per tutto. Sonofelici. Apparentemente? Forse? Eppure si cercano e scoprono di desiderarsi a vicenda. Si amano. Cosa li spinge a incontrarsi e a manifestare senza pudore alcuno l’innamoramento incontrollato e incontrollabile che l’una manifesta per l’altro, senza pudore, senza un attimo di esitazione, senza un barlume di incertezza? Né lui né lei potrebbero trarre giovamento dalla nascente relazione amorosa. È l’eros che si manifesta subdolamente, improvvisamente, immotivatamente in apparenza, e li spinge, come un grave sottoposto alla legge di gravità, ad avviare una rivoluzione in cui sono coinvolti solo e soltanto loro due. Né lui né lei riescono a contrastare questo moto rivoluzionario, che annulla qualunque razionalità. Cercano disperatamente di farlo ma non ci riescono. Soltanto la consapevolezza che non può esserci uno sbocco porta alla scelta obbligata della separazione definitiva. Un ben film, ben diretto da Silvio Soldini con attori protagonisti tutti bravissimi, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Pierfrancesco Savino e Teresa Saponangelo.



Francesco Giuliano






Fonti:



mercoledì 16 novembre 2011

"Tutta la vita d'avanti", il male "precario" secondo Virzì.

Tutta la vita d’avanti è un film diretto da Paolo Virzì e scritto da Francesco Bruni, liberamente ispirato al libro di Michela Murgia Il mondo deve sapere. Anche in questa pellicola il regista mantiene il filo conduttore con i suoi precedenti film, raccontando attraverso gli occhi di Marta (Isabella Ragonese) la fragilità del nostro paese, dominato da un precariato lavorativo, sentimentale ed esistenziale.
Quella di Marta (raccontata attraverso la voce narrante di Laura Morante) è la storia di una ragazza che come tanti altri lasciano la propria città d’origine, dopo un percorso di studi, nella speranza di vedere realizzate le proprie aspettative. Nella pellicola Marta dopo svariate domande di lavoro terminate con un "le faremo sapere", sarà alienata in un call center nella periferia romana, dove conoscerà il precariato lavorativo insieme ad altri giovani, illusi da una stabilità lavorativa e motivati verso una competizione al limite della moralità, che li spingerà ad essere carnefici di se stessi.

La commedia regala sorrisi amari e commozione, esalta il dramma della nostra società, orfana di certezze, descrive personaggi dalla personalità complessa, tenera e spietata. La scelta della colonna sonora che apre il film sulle note dei Beach Boys è allegra e spassosa , promette grandi risate, ma ci si rende ben presto conto che sul grande schermo c'è l'immagine di paese malato, una generazione tanto speranzosa quanto disperata nell’assistere a una “guarigione” che stenta ad arrivare.
Pellicola dai toni tragicomici, fanno sorridere le situazioni grottesche e surreali che coinvolgono tutti i personaggi senza distinzioni gerarchiche, al punto da non credere che sia l’immagine della nostra realtà, ma l’amaro che resta in bocca alla fine del film, penso sia un indizio da non sottovalutare.
Perfetta è la scelta del cast con Isabella Ragonese nei panni della protagonista (Marta, che vede il mondo attraverso i suoi occhi sognanti ), Micaela Ramazzotti, Elio Germano, Valerio Mastrandrea e Sabrina Ferilli con Massimo Ghini, (in ruoli secondari ma determinanti). Virzì grazie a questo film ha ottenuto grande successo vincendo 2 Nastri d’Argento come miglior film 2008 e a Sabrina Ferilli come miglior attrice non protagonista. Le musiche sono state affidate a Franco Piersanti mentre la fotografia è stata curata da Nicola Pecorini.

Paolo Virzi:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/tutta-la-vita-davanti-il-male-precario.html
Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=QoRi-mdhILU

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Tutta_la_vita_davanti

"Ferie d'agosto" un film di Paolo Virzì

"Ferie d’agosto" è il secondo lungometraggio diretto da Paolo Virzi e scritto con la collaborazione di Francesco Bruni nel 1995 . Fin dai primi film il suo ironico sarcasmo emerge, sfociando in un leggero cinismo per un paese in “decadenza sociale” dove la politica ne a destra ne a sinistra convince più di tanto. La pellicola vanta un cast d’eccezione: Silvio Orlando, Laura Morante, Sabrina Ferilli, Ennio Fantastichini e Piero Natoli. Ambientata nell’isola di Ventotene, la pellicola racconta il confronto di due gruppi in vacanza, rappresentati da una famiglia di intellettuali snob di sinistra e da una famiglia di commercianti di destra. Nonostante i diverbi iniziali, le divergenze politiche e caratteriali, i due gruppi, grotteschi nel loro genere, si troveranno accomunati da un’insofferenza e una scontentezza di fondo che li porterà a un’inevitabile riconciliazione . Commedia tanto leggera quanto amara che oltre a un sorriso lascia qualche riflessione. Il film ha vinto il David di Donatello come miglior film dell’anno. La fotografia è stata curata da Paolo Carnera.

Paolo Virzi:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/tutta-la-vita-davanti-il-male-precario.html

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=K9aKfXRjR2Y

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ferie_d

Paolo Virzì, regista delle commedie "amare".

Paolo Virzì nasce a Livorno il 4 marzo 1974. Regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, è conosciuto nel panorama cinematografico per saper rappresentare in modo sarcastico e pungente la nostra Italia.
Durante gli anni scolastici, scrive recita e dirige testi teatrali, e con Francesco Bruni, conosciuto durante il liceo stringe un sodalizio artistico che manterrà anche per le sceneggiature di successo. Dopo un periodo all’Università di Pisa, dove gira alcuni cortometraggi e lungometraggi, si trasferisce a Roma, per conseguire il diploma nel 1987 al Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel 1989 collabora col suo insegnante Furio Scarpelli alla sceneggiatura del film Tempo di Uccidere di Giuliano Montaldo, tratto dal romanzo di Ennio Flaiano. L’approccio alla sceneggiatura arriva negli anni ’90 con i film Tumè di Gabriele Salvadores , Condominio di Felice Farina e Centro Storico di Roberto Giannarelli.
Nel 1994 con la regia del film La bella vita, Virzì segna il suo debutto nel cinema italiano. La pellicola vince il David di Donatello come miglior regista esordiente. Nel 1995 esce con Ferie d’Agosto dove dirige (ottenendo il David di Donatello come miglior film dell’anno) con ironico cinismo un cast di brillanti attori della portata di Silvio Orlando, Laura Morante, Ennio Fantastichini, Sabrina Ferilli e Piero Natoli, raccontando il conflitto di due famiglie italiane in vacanza, nel periodo in cui l’Italia si trova sottoposta a un grande cambiamento politico che vede la discesa di Silvio Berlusconi e l’avvento del nuovo sistema maggioritario. Ma è con il film Ovosodo (interpretato da Nicoletta Braschi, Edoardo Gabbriellini, Claudia Pandolfi e Regina Orioli) che Virzì ottiene grande successo dalla critica e dal pubblico, vincendo il Gran Premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia. La trama ripercorre la vita di un ragazzo Livornese tra turbamenti adolescenziali, aspettative sfumate e ritrovata serenità nel matrimonio . Nel 1999 è la volta della commedia a sfondo sociale intitolata Baci e Abbracci nella quale emerge ancora un’Italia influenzata dalla modernità ma incapace di farne parte. Il 2002 vede uscire la pellicola My name is Tanino, uscito dopo una difficile e lunga lavorazione causata dalla situazione finanziaria che vide protagonista Cecchi Gori fino ad allora produttore dei suoi film. La sceneggiatura per motivi di budget venne riscritta più volte prima di essere terminata. Nel 2003 dirige Sergio Castellitto, Margherita Buy e Alice Teghil nel film Caterina va in Città, dove racconta le difficoltà di un’adolescente provinciale nell’ambientarsi in una grande città come Roma. Nel 2006 esce N (Io e Napoleone), ispirato al romanzo N di Ernesto Ferrero. Nel cast troviamo Elio Germano, Monica Bellucci e Daniel Auteuil. La trama attraverso il parallelismo tra la figura di Napoleone e Berlusconi, parla del legame tra l’intellettuale e il potere. Con il film Tutta la vita d’avanti (uscito nel 2008) Virzì narra ancora in modo cinico e amaro della nostra società, e lo fa affrontando il tema della precarietà: lavorativa, esistenziale e sentimentale mettendo in luce molte fragilità del nostro paese. La protagonista (interpretata da Isabella Ragonese) laureata a pieni voti, arriva a Roma piena di speranze e aspettative lavorative, ma si troverà a fare i conti con una realtà amara che le farà mettere in discussione tutti i suoi valori. Nastro d’Argento, Globo d’Oro e Ciak d’Oro come miglior film e miglior regia . Nel 2010 nelle sale esce La Prima Cosa Bella scritto con Francesco Bruni e Francesco Piccolo, il film riscuote molto successo, facendogli vincere il David di Donatello come miglior film, regia e miglior attori (Valerio Mastrandrea e Micaela Ramazzotti, con la quale è convolato a nozze nel 2009).

Filmografia:

La bella vita (1994)
Ferie d'Agosto (1995)
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/ferie-dagosto-un-film-di-paolo-virzi.html
Ovosodo (1997)
Baci e Abbracci (1999)
My name is Tanino (2002)
Caterina va in città (2003)
N (Io e Napoleone) (2006)
4-4-2 (il gioco più bello del mondo) (2006)
Tutta la vita d'avanti (2008)
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/11/tutta-la-vita-davanti-il-male-precario.html
L'uomo che aveva picchiato la testa (2009)
La prima cosa bella (2010)

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Virz%C3%AC

martedì 15 novembre 2011

Happy Family


Il film racconta di uno sceneggiatore e dei suoi personaggi in cerca d’autore, il riferimento pirandelliano è tutt’altro che velato. Questa volta il cinema di Salvatores si avvicina al teatro mettendo in mostra la quinta parete che normalmente è celata all’occhio dell’osservatore, cambiando le regole del gioco. Ottimo protagonista lo spaesato Fabio De Luigi che ha già dimostrato di avere doti anche in ambito drammatico (in Come Dio Comanda, proprio con Salvatores).
In un continuo intrecciarsi tra realtà e finzione, Gabriele Salvatores racconta attraverso le parole di Ezio le storie dei protagonisti di quello che sarà il suo film, con cui però si troverà direttamente a contatto. Un banale incidente stradale catapulta, infatti, Ezio, al centro di questo microcosmo, nel quale i genitori possono essere saggi, ma anche più sballati dei figli, le madri nevrotiche e coraggiose, le nonne inevitabilmente svampite, le figlie bellissime e i cani cocciuti e innamorati. Improvvisamente Ezio si stufa di scrivere e decide di troncare la sceneggiatura, provocando la preoccupazione dei personaggi che gli piombano in casa spronandolo a continuare la storia e di aggiungere nuove trame appassionanti al racconto. E’ così quindi che nascono amicizie e si slegano amori.
Bellissima la scena in cui i personaggi del racconto irrompono nella casa dello scrittore-protagonista/Ezio/De Luigi per convincerlo a proseguire il racconto, lamentandosi delle sue decisioni e scelte narrative. La scena richiama in maniera impressionante l'opera teatrale di Pirandello Sei personaggi in cerca d'autore, quando i sei personaggi si recano dallo scrittore per pregarlo di metterli in scena, di scrivere per loro una commedia.
È un film a suo modo anche cinefilo, ricco di riferimenti (più che citazioni) al cinema di Wes Anderson (anche i Tenenbaum erano una Happy Family), ma si odono echi di Woody Allen (c'è un forte debito con Herry è a pezzi), di Buster Keaton, di Billy Wilder e di tanti altri mostri sacri della commedia di tutti i tempi.
C’è anche un elemento psicanalitico che percorre tutto il film, quasi fosse una confessione di inadeguatezza all’idea di essere felici. Solo alcuni attimi della vita corrispondono all’idea che Salvatores ha di felicità. Tutto quello che ostacola il suo raggiungimento è in realtà dominato dalla paura: paura di cambiare, paura del nuovo e di quello che già conosciamo, paura di mettersi in gioco, paura di sbagliare e, soprattutto, paura di essere felici. Attraverso la forma di “racconto nel racconto” si esorcizza, con un riso amaro, anche la paura della morte, che solo trovata la felicità può arrivare in modo sereno.
La la famiglia felice sullo schermo è anche quella degli attori, quelli veri, che hanno lavorato con Salvatores. Diego Abatantuono e Fabrizio Bentivoglio si ritrovano insieme sul set venti anni dopo Marrakesh Express e Turnè (bellissima la battuta autoreferenziale “Mi sa che ci siamo già visti in Marocco io e te”).
In una Milano magica (da lungo tempo nessuno la descriveva più come una città fotogenica e fantastica), Ezio percorre i luoghi fisici e quelli della mente alla ricerca della storia che vuole raccontare (e forse vorrebbe vivere). Ezio è l’alter ego di Salvatores, regista che nuovamente affronta un cortocircuito narrativo in cui narrazione e narrante si intersecano (era già accaduto nell’esperimento fantascientifico di Nirvana).
Il film ha un doppio finale: quello del racconto di Ezio e quello del film. Il primo si conclude con un “lieto fine”, come se il mondo fosse meraviglioso e persino la morte di Vincenzo viene vissuta in modo pacifico. La scena si svolge in una clinica a Panama, tutto l'ambiente è bianco, tutti i personaggi attorno a Vincenzo a letto sono vestiti di bianco, panna, avorio, beige, risaltano solo i loro occhiali scuri. Visivamente la scena richiama Mare dentro (Mare dentro, 2004 di Alejandro Amenábar), ne sembra quasi l'opposto.
Il secondo finale, si ha alla fine del racconto di Ezio quando il protagonista, soddisfatto del suo lavoro letterario, va a farsi una doccia e, mentre lui canta Guardo gli asini che volano nel ciel (titolo originale A zonzo, dal film I diavoli volanti di Edward Sutherland, 1939, cantata da Laurel & Hardy, in Italia Stanlio & Ollio), che stacca con la colonna sonora del film quasi completamente incentrata sulle canzoni di Paul Simon, la mdp se ne va curiosando per la casa scorgendo tutta una serie di particolari di cui lo spettatore non era a conoscenza. Viene inquadrato un tavolo dove vediamo esserci un foglio su cui è scritto:

Preferisco leggere o guardare un film che vivere …
nella vita non c'è una trama.
Groucho Marx

Poi viene inquadrato un volantino scritto in cinese, dove l'unica scritta comprensibile è Relax Total. La mdp si sposta ancora inquadrando un modellino di macchina, uguale a quella che aveva la madre di Ezio, con accanto un'ampolla per lavatrici; continuando, scorgiamo una lastra su l'angolo del tavolo e poi per terra l'album di Paul Simon. È la volta di foto di dolci e libri di cucina; poi un poster con scritte cinesi appeso alla parete che raffigura una ragazza che suona il pianoforte con un vestito rosso e lunghi capelli porpora. Infine vediamo su un tavolino delle fotografie e delle cartoline di Panama.
Tutti questi elementi/oggetti, sopra citati, sono ricorsi nel corso del racconto di Ezio, ispirandolo il narratore.
Alla fine scopriamo che anche Caterina (l'amata di Ezio nel racconto) è reale, infatti altri non è che la sua vicina di casa di cui il protagonista è visibilmente invaghito, un amore però il suo chiaramente non dichiarato e forse neanche ricambiato.
Anche l'ultima inquadratura del film è un richiamo alla storia di Ezio: un gabbiano che vola nel cielo di Milano. Questo riporta alla mente una battuta dello stesso protagonista verso la metà del film (esattamente un minuto prima di investire Anna con la bicicletta, evento che lo catapulterà nell'universo delle due famiglie) che si domandava tra sé e sé “che cazzo ci fa un gabbiano in una città dove non c'è il mare?”.

MARIANNA CAPPI, Pressbook - Happy Family, 26 Marzo 2010, www.mymovies.it.
CLAUDIA MORGOGLIONE, Salvatores: “ho riscoperto il lieto fine contro l'Italia delle bugie e della paura”, «La Repubblica», 17 Marzo 2010.
CARLO PROVOSTI, Happy Family, di Gabriele Salvatores - La recensione in anteprima, 26 Marzo 2010, www.cineblog.it.

http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=47715&film=Happy-Family

http://it.wikipedia.org/wiki/Happy_Family_%28film%29

"I ragazzi stanno bene" di una famiglia particolare



La regista Lisa Cholodenko, con sagacia e sottile accortezza, descrive le vicissitudini di una famiglia, composta da una coppia lesbica, Nic e Jules, in modo ordinariamente “naturale”, tant’è che i due figli, Joni e Laser, non soffrono di questa diversità rispetto ad una famiglia naturalmente normale.
Ad un certo punto, Laser mosso da un istinto genetico spinge la sorella Joni, divenuta maggiorenne, a cercare il loro padre, che ci riesce con successo. Tant’è che con il padre, di nome Paul, un dongiovanni scapolo, instaurano un rapporto di amicizia e anche di affetto vicendevole, quale può essere la normale relazione tra padre e figli, a tal punto che Nic e Jules sono indotte a inserirlo nel loro nucleo familiare. Nic però non gradisce molto l’intruso, mentre Jules se ne innamora. Paul e Jules, infatti, arrivano ad avere rapporti sessuali continui che minano quel nucleo familiare perfetto fino a quel momento. Nic scopre per caso la tresca, di cui vengono a conoscenza anche i figli, che per questo allontanano per sempre dalla loro vita Paul. Anche Nic respinge per un certo tempo Jules, ma poi grazie all’amore la famiglia riprende l’armonia e il vigore di sempre.
Un film eccezionale nella sceneggiatura e molto bello che tratta un argomento inconsueto come normale che può suscitare irritazione nei moralisti e negli integerrimi conservatori, e che coinvolge lo spettatore senza mai dargli nulla di scontato: dall’inizio sino alla fine c’è un susseguirsi di colpi di scena che creano un trascinamento costante e una partecipazione curiosa e avvincente. (Francesco Giuliano)






Fonti:






lunedì 14 novembre 2011

"Sbatti il Mostro in Prima Pagina", un film sulla parzialità della informazione.

"Sbatti il Mostro in Prima Pagina" è un film diretto da Marco Bellocchio e uscito nelle sale nel 1972. Il soggetto è stato realizzato da Sergio Donanti che è autore anche della sceneggiatura (con Goffredo Fofi); il film è stato prodotto da Ugo Tucci, le musiche sono state curate da Nicola Piovani, la fotografia da Luigi Kuveiler in collaborazione Enrico Menczer e il montaggio è stato eseguito da Ruggero Mastroianni.
Nel cast hanno partecipato il sempre eccezionale Gian Maria Volonte, Laura Betti, Corrado Solari, Fabio Garriba e tanti altri.
La trama racconta che dopo un omicidio a sfondo sessuale di una ragazza figlia di un importante membro della borghesia, il direttore di un quotidiano di destra, "Il Giornale" (niente a che vedere con l' omonimo attuale che non era ancora stato fondato) organizza un inchiesta finalizzata a incastrare un giovane estremista di sinistra e a strumentalizzare la questione per fini meramente politici.
Nel film di Bellocchio emergono i stretti rapporti tra l' informazione e potere e viene descritto come la paura venga  "utilizzata" per influenzare l' opinione pubblica e indebolire gli avversari politici.
Il film che è critica decisa è forte alla demagogia della destra, può essere considerato attuale, infatti la strumentalizzazione dei delitti e degli atti criminali come anche la severità di facciata sono ancor oggi i metodi utilizzati per ottenere consenso da parte di alcuni partiti di destra.

Film completo su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=1tkpm475I-E
Estratto interessante su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=iNMrJl50CWI
Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Sbatti_il_mostro_in_prima_pagina
http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Bellocchio

La conoscenza elimina i luoghi comuni nel film "Benvenuti al sud" di Luca Miniero



Una copia conforme del film francese “Giù al nord” è quel che riguarda la linea conduttrice di "Benvenuti al sud", che però presenta connotati adattati alla realtà italiana, dove vengono messi in risalto e alla berlina i luoghi comuni che contrappongono i “polentoni” ai “terroni”. Stereotipi questi che vengono sgonfiati e smontati non appena si istaurano tra gli uni, i settentrionali, e gli altri, i meridionali, dei veri e sinceri rapporti umani. Si racconta, infatti in questo film, di un direttore postale (Claudio Bisio) trasferito, per aver prodotto un ‘istanza falsa, dal nord al sud, ovvero dalla Lombardia a Castellabate, un borgo nel parco del Cilento, che per la sua posizione e straordinaria bellezza fa parte del patrimonio dell’UNESCO. Un borgo adagiato su un cocuzzolo che domina uno stupendo mare meraviglioso con tramonti da favola, dove si vive una vita tranquilla, rilassante, flessibile perché adattata alle esigenze degli abitanti, e dove si conduce un modo di vivere dai rapporti umanamente sinceri e spontanei, lontana dalla vita frenetica, opprimente, basata su comportamenti convenzionali e ipocriti, e ingabbiata in un sistema di regole che non lascia “spazi di manovra” e la rendono falsamente umana. Una vita estranea dunque a quell’esistenza programmata nei minimi particolari e rigorosa che si svolge in una città settentrionale, come Milano, dove il nostro direttore ambisce di essere trasferito, in seguito alle insistenze della moglie (Angela Finocchiaro) la quale desidera abitare in una città grande per il “bene” dell’unico figlio e per avvicinarsi ai suoi genitori. Questo film di Luca Miniero fa ridere, e fa ridere molto, ma al tempo stesso fa anche riflettere lo spettatore sulla situazione socio-politica italiana, e che fa meditare sull’ultracentenaria diatriba tra la gente del nord e quella del sud, per la quale è “l'una contro l'altra armata” più per presa posizione e per retaggio storico che per effettiva conoscenza dei genuini valori umani che le distinguono. Bravissimi e spassosi gli attori, Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, e la splendida Valentina Lodovini con i suoi occhi sempre sorridenti anche se la regia manifesta un po' di sofferenza nel secondo tempo. (Francesco Giuliano)






Fonti:






domenica 13 novembre 2011

"Vogliamo i Colonnelli", Monicelli prende in giro i neofascisti.

"Vogliamo i Colonnelli" è un film satirico diretto da Mario Monicelli e uscito nelle sale nel 1973.
Il film racconta di un tentativo di colpo di stato, mal organizzato e mal riuscito, ideato  da parte di gruppo di nostalgici fascisti.
Mario Monicelli è autore anche del soggetto (in collaborazione Furio Scarpelli e Agenore Incrocci) e della sceneggiatura (con gli stessi), della produzione sono responsabili Pio Angeletti e Adriano De Micheli, della fotografia lo è Alberto Spagnoli, delle musiche si è occupato Carlo Rustichelli e delle sceneggiature Lorenzo Baraldi.
Il cast, di altissimo livello, vede la partecipazione dell' immenso Ugo Tognazzi, di Giuseppe Maffioli, di Renzo Marignano, Giancarlo Fusco, Antonino Faà Di Bruno e tanti altri.
La trama tratta, come accennato, di un grottesco tentativo di colpo condotto da un gruppo di nostalgici, è evidente il riferimento al fallito "Golpe Borghese" e verosimile  a quello riuscito dei colonnelli greci.
Il genio di Monicelli, come sempre, riesce a far pensare sorridendo, a preoccupare divertendo, negli anni settanta; quando le paure di un Golpe (di sinistra, o di destra) sono tarli che aleggiano nelle mente degli italiani, il maestro stupisce con un film che ridicolizza i neo-fascisti e analizza alcuni dei metodi di propaganda utilizzati dalle stampa per instaurare nella popolazione il terrore e il disprezzo per le sinistre.
Quello che si evince del film, è a mio parere, che secondo Mario Monicelli, gli italiani hanno vissuto la paura di due rivoluzioni diverse, una che avrebbe portato a ripristino di una dittatura fascista e militare, l' altra a un regime comunista, ma in realtà il vero pericolo per la democrazia era lo stesso apparato dello stato e quelle forze,  che nascondendosi dietro la difesa del paese cercano di prenderne il controllo totale attraverso metodi subdoli, silenziosi e illegali.
Il film entra a pieno diritto pieno diritto nella categoria della commedia all' italiana, di cui Monicelli, assieme a Luigi Comencini e Mino Risi è il miglior regista.

Mario Monicelli, il regista di "Vogliamo i Colonnelli".
Foto di proprietà della galleria Flickr "Edera".

Il Film in Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=Wcj5oZavTz4
Il Trailer su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=depMvHD8vQE

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Vogliamo_i_colonnelli