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martedì 20 dicembre 2011

Nel film “La seconda notte di nozze” Pupi Avati descrive le diverse “maschere inossidabili” degli italiani.



Regia: Pupi Avati
Cast: Neri Marcorè, Antonio Albanese, Katia Ricciarelli, Marisa Merlini, Angela Luce, Mia Benedetta
Produttore: Antonio Avati
Anno produzione: 2005



Questo film è ambientato nell’Italia del dopoguerra e descrive le vicissitudini di una donna, Lilliana Vespero (Katia Ricciarelli), che rimasta vedova convive per necessità economica con un uomo che non sopporta il di lei figlio, Nino Ricci (Neri Marcorè). Questi, infatti, è un ladro, un cialtrone satanico, un nulla di buono per intenderci, che gli crea soltanto problemi e basta. Per questo Lilliana, spinta dall’affetto del figlio e anche dalle sue insistenze, decide a malincuore di ritornare nella sua terra, in Puglia, dove vive ancora il fratello del marito, Giordano Ricci (Antonio Albanese), mezzo demente, che però nella sua “demenza” manifesta con grande e profonda umanità l’altra faccia della medaglia, cioè l’ingenua volontà di fare “pulizia” dal lerciume diffuso e dall’immoralità imperante. Non è un caso che Pupi Avati descrive esaltandolo Giordano in senso metaforico, vale a dire come quello che viene chiamato a eliminare i pericoli ovvero a fare esplodere le bombe rimaste inesplose durante la guerra, contrapponendolo così alle azioni del nipote Nino, emerito lestofante .



In tutta la storia descritta nel film, Pupi Avati, con il suo consueto stile, con la dolcezza e con la gradevolezza che lo contraddistinguono nel raccontarla, questa storia che è la storia di tutti, mette in evidenza quelli che sono i diversi comportamenti peculiari che caratterizzano i componenti della nostra società: i lestofanti “furbi” da una parte e gli onesti “dementi” dall’altra. Pupi Avati, in sostanza, costruisce ed elabora i modi di fare e di agire, gli impulsi emotivi e gli atteggiamenti delle persone dando a questa parola il suo primitivo significato etimologico di maschera: i Latini dissero persona la maschera …, viso di cartone o di cera dipinto, di cui ci copre la faccia per non farsi conoscere o per rappresentare qualcosa, … portata sempre dagli attori nei teatri dell’antica Grecia e dell’Italia. Ovvero nel procedere della vita gli individui assumono dei comportamenti che derivano dal contesto in cui si trovano.



Molto bravi Antonio Albanese e Neri Marcorè che hanno saputo caratterizzare le due diverse facce contrapposte dei comportamenti individuali, ma brave anche Marisa Merlini (Eugenia Ricci) e Angela Luce (Suntina Ricci).


Fonti:





venerdì 16 dicembre 2011

"Aprile" un film sulla politica!

"Aprile" è un film diretto da Nanni Moretti e uscito nelle sale nel 1998. Nanni Moretti è autore anche del soggetto e della sceneggiatura, la fotografia del film è stata curata da Giuseppe Lanci, il montaggio da Angelo Nicolini, i custumi da Valentina Taviani e la scenografia da Marta Maffucci.
Nel Cast partecipa lo stesso Nanni Moretti, nel ruolo di se stesso, tra gli altri attori dobbiamo ricordare Silvio Orlando, Daniele Lucchetti, Angelo Barbaglio, Silvia Nono e Pietro Moretti.
Il film, ambientato tra il 1994 e il 1996, inizia con l' annuncio della vittoria elettorale di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche. Nanni Moretti, interpretato da se stesso, rimane scoinvolto e decide di girare un documentario politico, progetto che poi accantonerà per un musical. Nel 1996, quando dopo le elezioni antipate Berlusconi sarà sconfitto il regista ritorna al suo primo progetto, per poi accantonarlo nuovamente.
Il film è interessante, racconta il rapporto tra il regista e la politica, Moretti nella pellicola indaga su se stesso e sulla politica italiana.

http://it.wikipedia.org/wiki/Aprile_(film)

Trailer su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=WwYcGpVO_Sw

Ne "La passione" la descrizione dell'attuale situazione politica nazionale

Regia e Sceneggiatyura: Carlo Mazzacurati.


Cast: Sivio Orlando, Cristiana Capotondi, Giuseppe Battiston, Stefania Sandrelli, Corrado Guzzanti, Marco Messeri.


Produzione: Domenicio Procacci


Anno produzione: 2010


Questo film presenta, ovviamente, diverse chiavi di lettura. Quella che mi è più congeniale corrisponde alla descrizione, in chiave mateforica, della situazione socio-politica dell'Italia, dove non c’è creatività, originalità, fantasia e dove la voce degli intellettuali è debole e priva di senso. Dove il grigiore, lo squallore e la sordidezza predominano. Dove sono il ricatto e il compromesso che muovono il motore della nazione. Che amara condizione! Gianni Dubois (Silvio Orlando) rappresenta con il suo aspetto, a volte simpatico, a volte buffo, a volte triste, a volte enigmatico, a volte ingenuo, un intellettuale della disorientata e litigiosa Sinistra italiana, divisa in mille rivoli, smarrita nel teatrino della politica, e incerta nelle scelte da fare, che non sa ascoltare i giovani, che non sa avanzare idee nuove, che è ancorata a trascorsi schematismi superati, lontani nel tempo, senza nessuno ancoraggio ai veri problemi sociali e istituzionali del tempo presente.


La storia raccontata nel film si svolge in un piccolo paese della Toscana, un borgo medievale ancora apparentemente intatto, dove tutto va a rotoli, dove il popolo che una volta rispondeva al richiamo di eventi come la celebrazione della Passione non è più presente, dove le case sono decrepite, dove le pregiate opere artistiche si degradano, dove il potere politico costituito si mostra cinico, ricattatore e arrogante e, tramite la sua sindachessa (Stefania Sandrelli) cerca, con ricatti miserabili e spregevoli, la realizzazione di certi obiettivi che ritiene possano richiamare e coinvolgere i paesani. Ma il pubblico vuole idee nuove, fresche e giovani non ancorate a vecchi e obsoleti schematismi che ripetono sempre la stessa sbobba. Ne è una prova il personaggio Flaminia Sbarbato (Cristiana Capotondi) che va a trovare con tanta gioia e molte aspettative il regista Dubois, ma che rimane delusa, si irrita e va via dopo avere ascoltato da questi una estemporanea storia, trita e ritrita, di un ipotetico film dalla fine incognita, che non ha niente di originale. Dubois risulta dunque un regista del tempo passato, bravo ma ormai dimenticato ed escluso dall’albero genealogico dei registi che, con i suoi ossessivi intercalari fastidiosi, simboleggia con grande bravura la situazione di ciò che oggi avviene nella nostra società. La Passione di Carlo Mazzacurati, dietro la rigenerante ilarità che suscita costantemente nello spettatore, nasconde il dramma dei nostri giorni, ma che con l’urlamento di un ragazzo vuole spronare i giovani di oggi ad alzare la testa per pensare al proprio futuro.


Bravi Giuseppe Battiston (Ramiro) e Corrado Guzzanti (Abbruscati), assieme a Marco Messeri (Del Ghianda) e Cristiana Capotondi. Ottima la regia.


Fonti:










lunedì 12 dicembre 2011

Il film “Unfacebook” di Stefano Simone, una metafora dei mali del nostro tempo.






Titolo: Unfacebook




Regia e Fotografia: Stefano Simone.




Sceneggiatura: Dargys Ciberio, Antonio Universi, Pia Conoscitore.




Musiche: Luca Auriemma.




Durata: 75 min. Anno di produzione: 2011. Patrocinato dal Comune di Manfredonia.



Cast: Paolo Carati, Giuseppe La Torre, Tonino Pesante, Fabio Valente, Tonino Potito, Filippo Totaro, Pia Conoscitore, Sabrina Caterino, Mimmo Nenna, Ivano Latronica, Grazia Orlando, Tecla Mione, Dino Mione.




In questi giorni mi è capitato di vedere il recentissimo film Unfacebook, un triller-horror diretto dal giovanissimo regista Stefano Simone e prodotto da una piccola casa di produzione indipendente la Jaws Entertainment. Il film è stato tratto da un racconto inedito Il prete di Gordiano Lupi della Casa editrice Il foglio letterario. Un triller, inquadrato nella cornice misteriosa di una cittadina della provincia pugliese, che sin dai primi fotogrammi suscita curiosità interesse e suspense nello spettatore per le immagini molto crude e drammatiche e scene molto violente, fino all’esasperazione più estrema, la cui brutalità schietta viene a fortiori catalizzata da una musica appropriata che fa ricordare i films di Dario Argento.
Guardando il film ho rilevato via via una direzione sciolta agile e straordinaria che non ha niente da invidiare ai mostri sacri del cinema italiano, tant’è che il regista dimostra di saper usare con oculatezza la didascalia avvalendosi di dialoghi molto striminziti ma comunque essenziali.
Stefano Simone dimostra di essere un regista profondo conoscitore del suo tempo e di avere una cultura elevata soprattutto sui temi socio-psicologici recenti e di servirsi della cinepresa in modo originale sfruttando come colori predominanti del film, il bianco e il blu, che sono i colori del social network Facebook. Il titolo del film Unfacebook lascia intendere questo riferimento, anche se quest’uso bicromatico di primo acchito fa pensare ad una scarsa qualità fotografica e dà un po’ di fastidio allo spettatore che, però, a poco a poco vi si abitua e comprende che è stata una scelta voluta, che caratterizza appropriatamente la pellicola. Un colpo di genio, non c’è che dire!
Nel film c’è una disamina sulla crisi odierna della Chiesa che non riesce più a raggiungere il suo scopo: il controllo e la salvezza dei fedeli attraverso la confessione. A tal proposito, Francesco Giuliano nel suo romanzo Come fumo nell’aria sostiene parlando dei fedeli che dopo la confessione molti ritornavano a comportarsi come sempre o forse peggio, tanto c’era l’assoluzione garantita con il palesamento dei peccati. Il prete (Giuseppe La Torre), protagonista del film, infatti, ascolta le confessioni dei suoi parrocchiani, ma questo lo porta ad una crisi interiore e ad uno sconforto personale. Egli medita su Il principe di Niccolò Machiavelli quando dice che gli ipocriti e gli astuti creano l’ira di Dio perché il peccato si rinnova e che il fine che giustifica i mezzi. È il comportamento dei fedeli che il prete non approva e che condanna, rendendosi conto che la confessione non risolve i loro problemi. Il prete tramite la confessione riesce a conoscere chi si comporta da puttana, chi è un pervertito, chi è un bastardo, chi è uno spacciatore di droga, e così via. Egli si convince che non serve a niente dare l’assoluzione dei peccati a questi individui malefici, per loro la soluzione migliore è la punizione divina. Da redentore si trasforma in loro carnefice a tal punto che fa diventare suo complice addirittura un bambino che ha assistito ad un omicidio. Lupi nel suo racconto sottolinea questa metamorfosi del prelato cui fa affermare, con cruda chiarezza che … noi preti siamo chiamati ad assolvere persone simili, e che, non mi sono fatto prete per assistere alla vittoria del male, ma per contrastarlo.
Egli decide di affidarsi a Dio che punisce per sempre.
Ma come fare?
Si aggiorna tramite una rivista specializzata sull’uso di internet e della posta elettronica di cui apprende il grande potere telematico. Si documenta sull’ipnosi e legge un libro sui Templari. Scopre che con l'ipnosi sia possibile entrare nella dimensione inconscia ed emotiva di un altro e per far questo il mezzo più appropriato sono i social networks che creano dipendenza seria ed invalidante, una vera e propria patologia, nota come Social Network addiction. Si rende conto che questa dipendenza ha sugli individui gli stessi effetti causati dall’uso di sostanze stupefacenti e, al tempo stesso, crea fisime e forti impulsi emotivi. Progetta, quindi, un programma sinistro, spietato, violento, sanguinario. Il confessionale diventa un luogo paragonabile a quello del Santo Uffizio, dove far confessare spontaneamente i peccati per i quali il verdetto finale è la morte.
Il prete capisce, in definitiva, come con la telematica si possa non solo governare la gente e la loro opinione, ma anche come con essa si possano strumentalizzare e trasformare per fini reconditi i giovani in automi. Invia, infatti, a qualcuno di questi delle e-mail con il link Vuoi fare parte dei Templari?. Questa domanda suscita curiosità nel giovane che conseguentemente ad un “click” si trova di fronte l’icona Armageddon, la battaglia finale tra il Bene e il Male, per la quale venivano usati come guerrieri i Templari. Il ragazzo in tal modo assume il ruolo di guerriero Templare con le conseguenze cruente che quest’assunzione comporta.




C’è dunque nel film un’analisi attenta e critica sui social network come Facebook, Twitter, MySpace, ecc., a cui si aggiungono le chat e gli sms, tant’è che il regista nel film fa dire alla psicologa (Pia Conoscitore) che il social network è come un luogo virtuale che dà ai giovani, in età compresa tra 12 e 18 anni, stimoli intensi e gratificanti che creano dipendenza e elevato grado di pericolo in quanto essi non riescono a distinguere il reale dal virtuale e ciò li porta ad una scompensazione emotiva dagli effetti devastanti.

Devo dire che ho trovato il film molto interessante e di grande attualità perché affronta il problema sia della decadenza della religione sia dell’uso non appropriato di internet che genera dipendenza. Della dipendenza ne parla il ricercatore Federico Tonioni nel suo saggio Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, mentre il critico culturale americano Lee Siegel nel suo recente libro Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione, addirittura disapprova l’uso della rete per i suoi effetti deleteri.










Federico Tonioni, Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Einaudi




Lee Siegel, Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione, Piano B edizioni







Stefano Simone è nato a Manfredonia (FG) il 09/02/1986, dove inizia sin da piccolo a scrivere sceneggiature e girare cortometraggi (il primo all'età di 13 anni). Dopo aver frequentato il liceo socio-psico-pedagogico al "Roncalli" di Manfredonia, si trasferisce a Torino per studiare cinema all'istituto "Fellini", conseguendo il diploma di "Operatore della Comunicazione Visiva". I suoi cortometraggi: "Il delitto di classe"(1999); "Fear-paura"(2000); "Madre delle Tenebre"(2001); "Gli occhi del teschio"(2001); "Il gatto nero dalle grinfie di sciabola"(2005); "Istinto omicida"(2006); "Infatuazione" (2006); "L'uomo vestito di nero" (2007); "Lo storpio" (2007); "Contratto per vendetta" (2008); "Kenneth" (2008); "Cappuccetto Rosso" (2009). Lungometraggi: "Una vita nel mistero" (2010); "Unfacebook" (2011). Videoclip musicali:"Su Facebook" (2011).

venerdì 9 dicembre 2011

In "Midnight in Paris" di Woody Allen un ritorno al passato per ritrovare i sentimenti perduti.

Anche se questo è il blog del Cinema Italiano mi permetto di pubblicare la recensione dell'ultimo film (un vero gioiello!) di Woody Allen perché considero questo regista molto vicino al nostro modo di pensare.







Non c’è che dire, con questo film Woody Allen, come regista e sceneggiatore, ha superato se stesso perché porta a far fantasticare lo spettatore immergendolo in un mondo dove il surreale, l’immaginario, la bizzarria, il fiabesco diventano tangibili, idealmente materiali, e dove traspare la nostalgia per un mondo perduto antitetico al mondo di oggi in cui si contrappongono il sentimento e l’arido nozionismo, in cui emerge il contrasto tra il cuore e laragione, in cui si respingono l’emozione e l’insensibilità, dove non può esserci condivisione di due mondi diversi, due mondi quello reale, depressivo, squallido, urlato, angosciante, alienante, e quello surreale, esaltante, stimolante, fantastico, seducente, affascinante, appassionante.
Un film intelligente e stracolmo di humour, culturalmente elevato, con il quale Woody Allen ci mostra una teca di incontri suggestivi con artisti universalmente famosi, e ci dice come questa nostra società possa uscire dall’arida pedanteria, dalla gabbia degli stereotipi e dal pressappochismo sterile: basterebbe affidarsi al sentimento e a tutto ciò che crea emozioni.
Un film, con il quale, ancora una volta Woody Allen mette in risalto il “suo odio per la realtà”, arida, angosciante, deprimente, priva di senso, colma di vanità e di genericità e di mero formalismo, che inibisce ogni impulso emotivo di crescita individuale.
Gil, il protagonista (Owen Wilson), è uno sceneggiatore di film sui generis che si trova a Parigi con la sua futura sposa Inez (Rachel McAdams) e con i genitori di lei, che non vedono di buon occhio quel sognatore da strapazzo. Gil afferma di volere amare Inez e per questo di volerla sposare perché con lei condivide “i piatti della cucina indiana, ma non tutti”, e perché gli piace far sesso con lei o almeno è questo che lascia intendere. Gil è attratto, anzi innamorato di Parigi, dai suoi angoli suggestivi, dal fascino dei suoi palazzi, dall’atmosfera che si respira soprattutto quando piove. È la città dove vorrebbe vivere dopo il matrimonio. Inez, al contrario, vuole ritornare nella sua terra d’origine, gli Stati Uniti, e vivere là dove è nata.



Gil vive in due dimensioni, quella reale che non apprezza e quella immaginaria che lo fa trasvolare nel passato, nella Parigi di circa un secolo fa che per lui è un periodo di sogno. Mentre Inez è particolarmente attratta dal suo vecchio amico Paul (Michael Sheen), che segue ovunque vada. Paul è inviso a Gil sia perc hé è simpatico a Inez sia perché è un sapientone presuntuoso che spesso prende delle cantonate madornali.
Gil è un sognatore, che fa un salto nel passato, allo scoccare della mezzanotte mentre cammina per le strade di Parigi, e invitato a salire su un’auto viene trasportato nella Montparnasse bohémien, esattamente negli anni venti del ventesimo secolo - i cosiddetti “Anni folli” -, che egli raffigura come un mondo incantato e magico perché ritiene che "il passato non è affatto morto, anzi non è nemmeno passato."
In questa atmosfera, dove “l’attesa del piacere è essa stessa un piacere”, Gil incontra, come per incanto, i mostri sacri della cultura mondiale di quel periodo, tra cui lo scrittore Francis Scott Fitzgerald (Tom Hiddleston) e la sua futura moglie Zelda Sayre Fitzgerald (Alison Pill), anch’ella scrittrice, Ernest Hemingway (Corey Stoll), e pittori surrealisti e anticonformisti, come Salvador Dalì (Adrien Brody), Pablo Picasso (Marcial Di Fonzo Bo), Henry Matisse (Ives-Antoine Spoto), Man Ray (Tom Cordier), Luis Buñuel (Adrien de Van) – quest’ultimo addirittura mostra, a futura memoria, stupore nei confronti del suo stesso film L’angelo Sterminatore. Incontra pure la poetessa Gertrude Stein (Kathy Bates), Gert per gli amici, alla quale Gil consegna un suo manoscritto per averne un parere disinteressato e, nella cui casa, incontra Adriana (Carillon Cotillard), modella prima di Pablo Picasso e poi di Amedeo Modigliani, con la quale in fase di innamoramento Gil fa un altro salto nel passato, quello della Belle Èpoque, al ristorante Maxim’s dove, innanzi ad un disinibito can-can, incontra Henri de Toulouse-Lautrec (Vincen Menjou Cortes) in compagnia di Degas (Francois Rostain) e Gauguin (Olivier Rabourdin). Gil, in questi frangenti, frequenta e si innamora di Adriana. Interrompe la relazione con Inez facendo finalmente contenti i genitori di lei, ma poi per una discordanza di vedute lascia anche Adriana. Nella solitudine mentre una sera passeggia lungo la Senna incontra la bella Gabrielle (Lea Seydoux), una ragazza che aveva conosciuto al “Mercato delle pulci” e con la quale suggella opinioni e idee condivise in quell’atmosfera che lui aveva sempre sognato: Parigi sotto la pioggia lungo la Senna.
La musica jazz, tanto osannata come sempre nei film di Woody Allen, concorre enfaticamente ed efficacemente alla ricostruzione di quelle atmosfere surreali, stupendamente incantevoli, meravigliosamente stupefacenti, fatate della Parigi di quegli anni, con dei pezzi suonati da uno dei più grandi clarinettisti jazz e bravo anche come sassofonista, Sidney Bechett, e con composizioni di un maestro elegante, sofisticato e arguto come Cole Porter.



Woody Allen sceglie Parigi perché, negli anni che seguirono la prima guerra mondiale, Parigi diventa una città ricercata e cosmopolita che attrae, come una calamita i pezzetti di ferro, gli artisti più geniali e estroversi che nella loro forsennata analisi caratterizzano que“gli anni folli”, epoca aurea dell’arte e della letteratura di cui il regista dimostra con questo film di essere profondamente conoscitore e emotivamente innamorato. È, dunque, la Parigi della musica jazz, irrequieta e instancabile fabbrica di creatività, da cui emerge un anelito di pace dopo i tragici traumi prodotti dalla sanguinosa guerra, dove si riscopre il sogno, e da cui affiora un caleidoscopio di stili presenti nelle opere dei dadaisti e dei surrealisti che cercano inconsciamente di risvegliare le coscienze con l’ironia e con l’immaginazione che va oltre la realtà.
Il film, il quarantaduesimo di Woody Allen, è stato presentato al sessantaquattresimo Festival del cinema di Cannes 2011 e anche al Torino Film Festival 2011.







Fonti:



http://www.palazzodiamanti.it/855/la-mostra
http://www.palazzodiamanti.it/859/catalogo
http://www.palazzodiamanti.it/856/opere-in-mostra
http://it.wikipedia.org/wiki/Sidney_Bechet
http://it.wikipedia.org/wiki/Cole_Porter

mercoledì 7 dicembre 2011

"Io sono un autarchico", l' esordio alla regia di Nanni Moretti.

"Io sono un autarchico" è girato nel 1976 prima in presa diretta e solo successivamente ristampato in 16 millimetri. Il film segna l' esordio alla regia di un lungometraggio di Nanni Moretti.
Moretti è autore anche del soggetto, della sceneggiatura e del montaggio, delle musiche si è occupato Franco Piersanti e della fotografia Fabio Sposini.
Nel Cast ha partecipato lo stesso Nanni Moretti con un gruppo di attori alle prime armi. Tra questi possiamo ricordare Fabio Traversa, Beniamino Placido, Alberto Abruzzese e Franco Moretti.
La trama tratta la storia di Michele, uomo sposato con un figlio , ma  mantenuto dal anziano padre. Michele che passa il suo tempo dedicandosi al teatro sperimentale va in crisi quando viene abbandonato dalla moglie.
La trama si sviluppa intrecciandosi tra le vicende personali di Michele e quelle della sua compagnia teatrale.
Il film, inizialmente snobbato da pubblica e critica (Moretti era sconosciuto al tempo) è discreto e negli anni successivi sarà anche rivalutato dalla stessa critica.

Fonti:
Trailer:

lunedì 5 dicembre 2011

L’alienazione fa perdere il senso dalla vita nel film “Somewhere” di Sofia Coppola




La società opulenta, da una parte, impingua facendoli arricchire e, dall’altra, spoglia completamente gli uomini di successo di tutti quei valori per i quali i nostri avi hanno tanto lottato e sofferto. In definitiva li estranea, li rende diversi, li porta da un’altra parte. Altrove. Somewhere. È questo il tema e il titolo del film di Sofia Coppola. Un tema complesso anche se oggi è molto trascurato dove traspare la scontentezza per una società che non è consona all’uomo, alle sue necessità essenziali, al senso della vita, in cui tutto appare immobile, apatico, senza senso, senza parole.
Sesso senza amore, Eros senza Psiche, Amore senza Anima, monotonia nello scorrere della vita di tutti i giorni, desideri non naturali e non necessari soddisfatti, squallore, desolazione sociale, superficialità, solitudine e ancora tanto altro nella vita di un uomo che ha molto successo e che possiede tutto ciò che la civiltà opulenta dei paesi post-industrializzati possa offrire, ma che ha il vuoto dentro di sé e attorno a sé. Un attore famoso Johnny (Stephen Dorff) che svolge una vita, programmata nei minimi particolari, e basata sul superfluo, sul capriccio, sulla bizzarria e sullo sfogo degli istinti sessuali, con tante sottili e curate attenzioni, ma priva di significato e di quell’affetto di cui istintivamente si sente il bisogno, cioè di quell'affetto che, in termini epicurei, è un desiderio semplice, spontaneo, genuino, naturale e necessario, originario. Un desiderio quello dell’affetto che esplode nell'animo di Johnny - così si chiama il protagonista - dal momento in cui è "costretto" ad accudire per un certo periodo la figlia undicenne Cleo (Elle Fanning), la quale manifesta quella genuinità sentimentale e spontanea nei confronti del padre caratteristica di quell'età. Sente Johnny, allora, il bisogno di evadere da quel modo di essere, che si era costruito forse senza volerlo, e avverte la necessità riempire il vuoto che ha, cocendo e mangiando un pentolone di spaghetti, e di acquistare quel vero senso della vita che lui non ha mai posseduto o che ha dimenticato e di cui, adesso, colpevole l'amore della figlia, sente inevitabilmente la necessità. Sente il bisogno naturale di trovare Psiche, l’Anima perduta. Significativamente espressiva e molto efficace, a proposito, è l’ultima scena del film, nella quale scende dal suo supertecnologico bolide nero e lo abbandona nella strada deserta.
Brava, anche questa volta dopo il successo di "Lost in traslation", la regista Sofia Coppola che ha molto bene diretto Stephen Dorff e tutti gli altri attori con una sceneggiatura essenziale ma efficace, e che non rinnega le sue origini italiane facendo comparire nel film attori italiani, come Nino Frassica, Valeria Marini, Simona Ventura, Laura Chiatti.




Il film è stato prodotto dal padre Francis Ford Coppola.


Fonti:


venerdì 2 dicembre 2011

"Un Giorno in Pretura", un film di Steno.

"Un Giorno in Pretura" è un film diretto da Steno e uscito nelle sale nel 1953. Il soggetto e la sceneggiatura dei vari episodi del film sono stati preparati in collaborazione dallo stesso Steno, da Alberto Sordi,  da Giancarlo Viganori, da Lucio Fulci e da Alessandro Continenza. La fotografia è stata curata da Mario Scarpelli, il montaggio da Giuliana Attenni e le musiche da Armando Trovayoli.
Il cast è ricco di giovani attori che negli anni successivi trionferanno nelle sale cinematrografiche, vi partecipano Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Walter Chiari, Sofia Loren, Tania Weber e tanti altri.
Il film è composto da 5 episodi:
"Il Ladro di  Gatti": un anziano viene citato in tribunale per aver rubato un gatto.
"I Coniugi Ponticelli": un commerciante, dal carattere severo e conservatore, viene accusato dalla moglie di abbandono del tetto coniugale e portato a giudizio. Riuscirà a salvarsi dalle accuse dimostrando l' infedeltà della sua stessa consorte.
"Don Michele, Anna e il biliardo":Un Prete viene trascinato in tribunale con l' accusa di aver generato una rissa in un Club, l' uomo, pur difendendo la sua buona fede ammette le sue colpe e il tentativo di scagionarlo di Anna, una prostituta, risulterà inutile.
"Nando Mericoni, l' americano": Nando, interpretato da Alberto Sordi, finisce in pretura accusato di atti osceni, colpevole di essersi fatto il bagno completamente nudo in una marana. Si difenderà spiegando di seguire la moda U.S.A.
"Gloriana": una star del cinema, ormai caduta in disgrazia, viene accusata di adescamento e ubriachezza molesta.

Il film, senza essere un capolavoro, risulta gradevole e interessante, sicuramente consigliato.

giovedì 1 dicembre 2011

Un grido di allarme per salvare la famiglia e la scuola il film “Scialla!” di Francesco Bruni



Scialla!, che in gergo romanesco significa stai sereno, è un film che fin dalle prime battute manifesta una sua peculiare originalità, ed è un film che dimostra come il cinema italiano di questi ultimi anni si stia svegliando da quel letargo, da cui per diverso tempo non è riuscito a destarsi, e stia mostrando creatività, fantasia e novità nella narrazione della fabula. Il regista Francesco Bruni - alla sua prima esperienza come regista dopo avere curato la sceneggiatura di film italiani famosi e di grande successo di pubblico, come La bella vita, Ovosodo, Io e Napoleone, La prima cosa bella, I viceré in collaborazione con Roberto Faenza, per citarne soltanto alcuni -, è riuscito ad affrontare un tema attualissimo in modo molto divertente e ilare, seppur accennando agli aspetti sociali e agitati riguardanti la famiglia e i rapporti inesistenti tra padri e figli, e concernenti anche la scuola e i rapporti illusori tra insegnanti e studenti. In definitiva il film parla della famiglia moderna che avendo perso la sua composizione originale non affronta il problema educativo dei figli delegando in questo la scuola che, a sua volta, non riesce neppure ad affrontare il problema formativo dei giovani. Il regista intrattiene su questi temi lo spettatore inducendolo prima a sorridere e anche spesso a ridere e, poi, a riflettere sul futuro che i figli stanno ereditando dai padri. E quello stesso spettatore, alla fine del film, si alza dalla poltrona del cinema molto soddisfatto dopo aver gustato fino in fondo e senza distrarsi neppure per un attimo il susseguirsi della trama raccontata: un figlio, Luca (un bravissimo Filippo Scicchitano), che ritrova inaspettatamente il padre Bruno Beltrame, scrittore di biografie (un eccellente Fabrizio Bentivoglio), di cui non aveva sentito mai parlare, - neppure un cenno aveva avuto dalla madre - ed un padre che inconsapevolmente scopre un figlio che non sapeva di avere, un figlio ancora adolescente molto disorientato che mostra di non possedere dei punti di riferimento e di aver vissuto sino ad allora come una nave, senza timone, alla deriva in un mare profondamente agitato, che mostra di non conoscere nelle persone i ruoli che questi ricoprono, e che usa un linguaggio per niente affine alla lingua italiana Il titolo del film “Scialla!”, infatti, sta a lanciare anche un grido d’allarme sull’uso della lingua che possiamo ritrovare nelle parole del linguista Tullio De Mauro (già ministro della pubblica istruzione), il quale sostiene che Il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto di media difficoltà, il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo . Un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello. Non più del 20%, quindi, possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana.
Luca, tuttavia, anche se disorientato mostra maturità di fronte a certe scelte: rifugge dallo spaccio e dall’uso della droga e da cattive compagnie, ma in un momento di debolezza, convinto dai suoi due amici, si lascia trasportare in una situazione da cui gli sembra difficile uscire mostrando paura mista a terrore e sconforto. Scopre nel suo “futuro” padre una figura carismatica per i suoi ex studenti e un punto di riferimento per se stesso che lo porterà fuori da quella circostanza ingarbugliata e violenta, scopre così che la scuola e il sapere che essa trasmette è un mezzo che porta alla conoscenza. E qui risalta una critica nei confronti della scuola che si preoccupa di fare acquisire delle competenze agli studenti trascurando la conoscenza della loro personalità e della loro intima essenza senza le quali l'apprendimento è negato.



Bellissima e significativa, a tal proposito, è la scena inconsueta con la quale è Luca a dire al proprio consiglio di classe di bocciarlo e fargli ripetere l’anno, per non fargli perdere buona parte della conoscenza che lo studio di quel percorso scolastico gli permetterà di acquisire. Un inversione di ruoli che dimostra ciò che gli studenti vogliono dalla scuola e che la scuola non riesce a dargli.
La bravura del regista Francesco Bruni si manifesta nell’aver usato la macchina da presa in modo magistrale, con la quale pian piano fa emergere tra i due protagonisti, Bruno Beltrame e Luca, i contrasti reali che esistono tra i giovani e gli adulti, tra linguaggio classico e linguaggio gergale, tra genitori e figli. Come uno scienziato che nel suo laboratorio esegue una ricerca scrupolosa che lo porta gradualmente all’agognata scoperta, così il regista fa affiorare, con un susseguirsi di azioni e avvenimenti a volte inaspettati, gradualmente l’affetto latente che esiste tra padre e figlio e la scoperta da parte di Luca dell'esistenza e della distinzione dei ruoli che contraddistinguono un padre da un figlio, un insegnante da uno studente, la famiglia dalla scuola.
Il messaggio che il regista vuole dare è che, per risollevare la nostra società dal baratro profondo in cui versa, bisogna ridare alla famiglia e alla scuola i ruoli che queste due istituzioni fondamentali formative ed educative hanno perso completamente, così come ha fatto il regista Ivan Cotroneo nel suo recentissimo film La kriptonite nella borsa. La convinzione comune che è condivisa anche da me è che non ci può essere una vera e corretta formazione della personalità individuale senza la famiglia e la scuola.



Nel cast ci sono anche Barbora Bobulova, Giuseppe Guarino, Arianna Scommegna, Prince Manujibeva e altri.

mercoledì 30 novembre 2011

"Il Senso", una storia di amore e di guerra firmata da Luchino Visconti.


"Il Senso" è un dramma diretto dal Luchino Visconti e uscito nelle sale nell' anno 1954. Il "Conte Rosso" ha tratto il soggetto nell' omonimo racconto scritto da Camillo Boito e ha realizzato la sceneggiatura in collaborazione con Carlo Alianello, Giorgio Bassani, Giorgio Prosperi e Suso Cecchi D' Amico. Le musiche, meravigliose, sono di Anton Bruckner e Giuseppe Verdi, la fotografia di Aldo Graziati  e Robert Krasker, il montaggio è stato realizzato da Mario Sarandrei, la scenografia da Ottavio Scotti e i costumi curati in collaborazione Piero Tosi e Marcel Escoffier.
Nel cast, eccellente, come in quasi tutti i film di Visconti hanno partecipato Alida Valli, Farley Granger, Massimo Girotto, Rina Morelli e tantissimi altri.
Le musiche del film sono straordinarie, Visconti, che era anche direttore d' opera,  le seleziona divinamente, le immagini e le scenografie stupende e curatissima, anche grazie al cospicuo budget a disposizione del regista.
Il film è ambientato a Venezia, nel 1866, durante i moti per l' indipendenza, la trama racconta un complesso intreccio tra vicende d' amore, guerra e  politica.
Nel teatro "La Fenice" di Venezia alcuni patrioti italiani distribuiscono volantini, il Tenente austriaco Franz Mahler reagisce con insulti e per questo viene sfidato dal Conte Ussoni.
La polizia austriaca arresta per un anno il Conte e sua cucina, Livia Serpieri, avvicina il Tenente cercando una mediazione. Terminerà innamorandosi e rovinandosi in una relazione clandestina che si svilupperà durante la terza guerra di indipendenza del nostro paese.
Con questo  film eccellente nelle immagini, nelle musiche e nei costumi e con una trama  intensa e drammaticamente appassionante Luchino Visconti si conferma uno migliori registi della storia del nostro cinema.

Uno spezzone da Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=Mi8d3xaWZV4

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Senso_(film)

martedì 29 novembre 2011

Sta ne "La bellezza del somaro" la fuga da questa società urlata.

È un film, quest’ultimo lavoro di Sergio Castellitto, tratto da un racconto della moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini. In esso il regista, che è anche attore, fotografa, in modo alquanto ironico, sottilmente beffardo e beffardamente satirico l’attuale società italiana, mostrandone una fisionomia urlata, squilibrata, dissestata, stereotipata, disorientata, scriteriata, alienata, dove le persone normali, che vivono intorno ai quei valori umani che inducono alla serenità, alla meditazione e alla saggezza, appaiono strane e anormali, superate, “vecchie”.

Si corre.

Si urla.

Non si pensa.

In questa società, dove ognuno si arroga il diritto di assalire l’altro, in modo gratuito e violento, solo per un abitudine consolidata e imposta anche da alcuni programmi e personaggi televisivi, si prevarica senza motivo chi vuole dire la sua liberamente e agire al di fuori degli stereotipi comuni.

Basta una parola per fare scattare l’allarme e assalire l'altro!

Gli impulsi nervosi si trasformano in grida forsennate, fastidiose, insopportabili. Nelle famiglie, poi, si permettono situazioni che fanno raccapricciare e inorridire: i genitori “educano” i figli accettando e condividendo tutto ciò che i figli fanno e gli impongono. Non uno schiaffo né un rimprovero sono ammessi. Tutto è lecito! In questo “frastuono” aggrovigliato, da cui è difficile uscire ed estraniarsi, che avviluppa tutti, una ragazzina si innamora di Armando (Enzo Iannacci) non più nel fiore della gioventù, in cui scopre la “bellezza” che fino ad allora non aveva ancora scorto. Sta proprio quì “la bellezza del somaro” che pascola sereno e tranquillo in mezzo alla purezza della natura e che si mostra indifferente in mezzo a tutto quel putiferio. Sta quì l'essenza del film che vuole dimostrare come in questa società non si riesce a cogliere il carpe diem di oraziana memoria. È come stare in un auto o su un treno che percorre la strada in modo così veloce da non far cogliere la bellezza dei paesaggi che attraversa ai passeggeri.

Quell'atto inconsueto e disinibito della ragazzina scandalizza tutti, ovviamente anche il padre Marcello (Sergio Castellitto) che le sferra uno schiaffo che, a sua volta, sconvolge, turba e indigna gli astanti.

Purtroppo lo spettatore esce stressato per una sceneggiatura che, talvolta, appare sconnessa e che non gli fa gustare il film che, però, in alcuni tratti appare piacevole.



Sergio Castellitto oltre ad essere regista è anche attore di questo film assieme a Barbora Bobulova, Laura Morante, Enzo Iannacci e Marco Giallini.




Fonti:





lunedì 28 novembre 2011

"Amore tossico" il dramma dei giovani degli anni '80

Diretto da Claudio Caligari nel 1983, Amore Tossico è un film drammatico incentrato sul tema della droga, problema che ha visto il coinvolgimento in Italia di molti giovani agli inizi degli anni ottanta , dove, attraverso la stampa affioravano le prime informazioni sull'eroina e sull'AIDS. Interpretato da attori non famosi, tutti ex-tossicodipendenti , il film (come dichiarato dallo stesso Caligari) non ha avuto vita facile perchè le riprese vennero spesso sospese a causa dei problemi degli attori, colpiti da crisi d'astinesta o arrestati per furti dovuti alla ricerca della droga.
La pellicola a sfondo neoralista racconta le giornate di un gruppo di ragazzi romani drogati, Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Loredana Ferrara e Clara Menoria che trascorrono le loro vite tra la Capitale e Ostia, cercando invano di disintossicarsi e avere un futuro diverso.
Il regista in maniera efficace descrive la difficile realtà di questa generazione, e lo fa con uno stile documentaristico, dando importanza ai contenuti piuttosto che ai dialoghi che risultano essere semplici, volgari e poco lineari. Appare evidente l'aridità di alcuni contesti sociali, rappresentati da immagini dure e drammatiche che non lasciano spazio alla censura, nemmeno nelle scene più forti dove gli attori si preparano "la roba" (che per per motivi giuridici, è stata sostituita con un farmaco epatoprotettore) e la iniettano in vena davanti alle telecamere. Evidenti i richiami alle Opere di Pasolini, sia per le ambientazioni che per i dialoghi, tanto che alcune scene finali sono state girate proprio sotto la sua stata ad Ostia.
Caligari parla del dramma dramma di quegli anni e lo fa in modo realistico e duro, prendendo ex tossicodipendenti, facendoli recitare con il loro nome di battesimo e nel loro dialetto borgataro, lasciando tutti i rumori di fondo come in un film-verità.
La pellicola ha vinto il premio speciale al Festival del Cinema di Venazia nel 1983, ed è stato definiti un vero cult movie nel suo genere.
Alcuni ragazzi che hanno partecipato al film (come il protagonista cesare Ferretti) sono morti per overdose o per aver contratto l'AIDS negli anni successivi).

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=Y_0CPkLeUmk

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Amore_tossico

domenica 27 novembre 2011

In Nome Della Legge


Film del 1948 diretto da Pietro Germi, girato a Sciacca , tratto dal romanzo Piccola pretura del magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo. Un vero e proprio western italiano, come lo definì la critica de l'epoca. Racconta la storia di un giovane ed onesto pretore, che non vuole piegarsi a soprusi e a imposizioni di nessun genere, e che vuole affermare e sostenere l'indipendenza e l'imparzialità della giustizia. È una denuncia violenta e implacabile, una documentazione impressionante. Il paesaggio fisico, l'ambiente, i personaggi, i problemi sociali si fondono in una narrazione prettamente cinematografica, anche se talvolta il regista più che alla verità si ispira al mito. Il film ha il merito di non voler dimostrare niente: tutti hanno ragione e tutti hanno torto. Ciò che conta veramente è la Sicilia dell'interno, assolata, infeconda, chiusa agli estranei, legata a un codice di onore che ha fatto il suo tempo, bruciata dal sole con un respiro di valli e colline che non ha nulla da invidiare al Nuovo Messico o all'Arizona di Ford. Una Sicilia in cui si vedono corriere assai simili alle diligenze del far-west; strade, quasi piste, che si arrampicano tra pietre e terra arsa fino ad un bianco incredibile paesetto semi-deserto, in cui le differenze di classe sono soprattutto indicate dal modo di viaggiare: a piedi i contadini e i minatori, sull'asino gli “intellettuali”, a cavallo la mafia. Dove i banditi e i rapinatori isolati, la mafia e il barone, vile e prepotente a capo del paese, costituiscono i pilastri di una società retta da regole e codici di una ferocia spietata e quasi medioevale, in cui la società moderna finisce con l'essere dominata e vinta del barone, che la mafia protegge e sostiene. La Sicilia ha anche un valore, oltre che strettamente documentario, simbolico: è facile, con simili sfondi, restituire il senso della solitudine dell'uomo, e dei valori arcaici e primordiali che dominano la sua vita.
Il racconto segue la sua via senza concessioni, senza pentimenti, fino alla prima parte del secondo tempo; e sin qui si ha l'impressione di assistere alla nascita di un film quasi memorabile, anche se il contenuto idillio fra la baronessa e il pretore sia un po' forzato. Ma poi il film ha degli indugi, per infine, ripiegarsi su se stesso. La conclusione, che la logica imporrebbe, è appena intravista e poi abbandonata, questo film coraggioso non ha il coraggio di esserlo fino in fondo. Quando tutto vorrebbe che il giovane pretore abbandonasse sfiduciato la lotta, e la mafia ancora una volta trionfasse, si assiste invece ad un ampio e retorico lieto fine. La norma della mafia, infatti, riconoscerà il suo errore e si sottometterà alla legge. L'immagine che Germi ci da è quella di una mafia dominata da antiche leggi e codici ben precisi, una mafia che in alcuni momenti appare quasi più dignitosa e leale rispetto a quelli che dovrebbero essere i “buoni”. Malgrado questo, si tratta pur sempre di un'opera che molto onera il cinema italiano, grazie soprattutto alla presenza di alcune scene tra le più belle del nostro cinema.




Fonti:

In Stefania Carpiceci (a cura di), Pietro Germi. Viaggio nel cinema italiano, Massenzio, Roma, 1995.
Paolo Gobetti, L'Unità, 31 Marzo 1949.
Mario Gromo, Film visti, pag. 316-317, 1949.
Pietro Bianchi, Candido, 3 Aprile 1949.

La storia recente dell’Italia nel film BAARÌA di Giuseppe Tornatore





Quanto amore per la sua Sicilia manifesta Giuseppe “Peppuccio” Tornatore nei suoi magnifici film (Non si può dimenticare il suo capolavoro, con cui suggella il suo amore per il cinema, Nuovo Cinema Paradiso del 1988 con un grandissimo Philipp Noiret) e la descrizione dei luoghi meravigliosi che vengono fuori da un paesaggio apparentemente rude, ma attraente, quello siciliano, in cui si svolge la vita degli umili e dei diseredati, con tutta la disperazione che si portano appresso senza possibilità alcuna di potersela togliere d’addosso.



Ebbene, Tornatore nel suo ultimo film, Baarìa - di cui si è detto già tanto e di cui io dirò soltanto adesso dopo aver visto il film - parla della sua terra natìa, Bagheria nell’entroterra palermitano, a partire dal tetro e oscuro periodo fascista attraverso la seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri, e ne descrive la miseria, la fame, la desolazione amara, lo sconforto e la proverbiale disperazione. Lo fa con delle immagini crude, naturali, selvagge, a volte sgradevoli, spietate così come fa il suo conterraneo Renato Guttuso, grande pittore, che sostiene, a proposito del suo quadro l’Occupazione delle terre incolte: i contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono dei loro, i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia, contadini siciliani che sono tanta parte della storia d'Italia…, (presentato alla Biennale di Venezia del 1950). O come fa il saggista Pasquale Villari che descrive la Sicilia, un luogo dove si trovano i feudi e i contadini più poveri o proletari. I borghesi arricchiti, i proprietari negozianti pigliano a gabella gli ex feudi, che subaffittano ai contadini, dividendo le vaste tenute in porzioni, delle quali serbano per se stessi la migliore e fanno contratti di subaffitto, diversi, ma sempre onerosissimi per i contadini. Oppure, come afferma Francesco Giuliano nel suo romanzo Come fumo nell’aria (ed. Prospettiva editrice): la differenza la fanno le leggi scritte e non scritte da quelli che hanno in mano il potere, e nel passato questo è stato esercitato dai baroni. È per questo che se i poveri rubano vanno a finire in galera, mentre se rubano i ricchi o i furbi non gli succede niente, anche se di fronte a Dio non hanno nessuna giustificazione delle loro malefatte. Ogni domenica, infatti, rispetto agli altri giorni, hai notato che in chiesa dinanzi al confessionale c’è una lunga fila di queste persone che vogliono confessarsi per farsi perdonare i peccati che hanno commesso? Capisci dunque che buona parte delle norme legislative è stata scritta a loro favore. Poi c’è il potere dei prepotenti e su quello le leggi non hanno alcun controllo. Se i nostri desideri, le nostre necessità, i bisogni fondamentali della nostra esistenza, le nostre speranze dipendono da un altro, è evidente che questo ha potere su di noi.


A livello emotivo, tante sono le impressioni donatemi da questo film. L’identificazione, fin dai primissimi fotogrammi, con la mia realtà di origine: l’atmosfera rurale, la nostalgia per quei luoghi di sofferenza, la voglia di emancipazione dalle proprie radici, l’accento sui comportamenti diffusi e a volte stonati del gregge, e le sensazioni raccontate magistralmente dal regista, che ha saputo trattare argomenti a volte personali in modo talmente dettagliato e lirico da rendere inevitabile l’identificazione dello spettatore che abbia vissuto esperienze anche lontanamente simili nell’altro capo dell’Italia. Favorendo così il passaggio dal particolare all’universale.


Tornatore in Baarìa coglie, dunque, il pretesto per parlare della sua Sicilia una terra fertile, bella e arcigna, fascinosa e attraente, misteriosa e arcana, emozionante, incantevole, fruttifera, rigogliosa così come la aggettiva parallelamente ne I sassi di Kasmenai (ed. Il foglio letterario), lo stesso Francesco Giuliano, anch’esso siciliano, dal cui romanzo emerge una fioritura di sapori e profumi, una mescolanza di emozioni vissute in quella terra, dove le storie personali sono troppo spesso ridotte a dettagli inconsistenti, in favore di una prospettiva storica più ampia: la storia omogeneizza i comportamenti di tutti gli uomini, annullando così quella dei singoli. Dove il particolare pian piano assume valore universale.


In Baarìa, lo spettatore ingenuo e poco acculturato, che non fosse sensibile né interessato ad uno scibile tanto ampio e variegato come quello che distingue il film, si trova comunque di fronte a due alternative: apprendere quanto spiegato nel film cercando di trovare un nesso tra il tema proposto e la realtà o limitarsi a fruire della storia ad un livello più superficiale, ma altrettanto dilettevole. Molti film hanno un doppio livello di significato: uno spettatore semplice può valutare la favola del corvo e della volpe di Esopo, come il semplice resoconto di una disputa di animali, ma risulterebbe molto difficile non avvertire tra i fotogrammi una lezione di carattere universale, e chi proprio non ne fosse capace avrebbe perduto il senso più importante del racconto.


Giuseppe Tornatore coglie, quindi, il pretesto di parlare dell’Italia e delle condizioni della sua gente e alcune frasi fanno afferrare in modo repentino il significato del film. Come quella che pronuncia il protagonista Peppino (Francesco Scianna) quando afferma che Sono uno di quelli che vorrebbe abbracciare il mondo ma ha le braccia corte, oppure, quella ancora più greve Un riformista è uno che sa che sbattendo la testa contro un muro, è la testa che si rompe e non il muro e che vuole cambiare il mondo col buon senso. O ancora quella ancora più disperatamente triste di Nino (Salvatore Ficarra) Voglio morire perché qui non succede niente. Questo modo di pensare e quindi il carattere di essere sfiduciati si può cogliere, anche se riferito ad un contesto culturale diverso, nel racconto “Hydra”, del già citato I Sassi di Kasmenai, Non interessava agli abitanti del paese conoscere ciò che i loro progenitori avevano fatto prima di loro; erano dotati di una grande indifferenza ed apatia gli abitanti del paese. Tale insensibilità, purtroppo, ha determinato gradualmente la distruzione di un patrimonio archeologico vecchio di migliaia di anni, utile per comprendere il passato dei popoli che hanno abitato in quei luoghi prima ancora della dominazione greca. Purtroppo un popolo che distrugge i resti del proprio passato è un popolo che distrugge se stesso, soffoca la propria anima, annienta la propria identità, si svuota di significato, non può acquisire i valori umani a fatica conquistati nel tempo dai suoi progenitori, rimane privo di sentimenti. Definitivamente. Per sempre.



Giuseppe Tornatore per fare afferrare il senso di un realismo pessimistico del film, non solo fa parlare i protagonisti, ma anche presenta parimenti alcune scene, spietate metafore, come quella della corsa sfrenata e inconcludente di Peppino ancora bambino o come quella che descrive la villa Palagonia o villa dei Mostri di Bagheria che per essere raggiunta (il trionfo e il riscatto) bisogna attraversare (vincere) un corridoio costellato di mostri (la mafia e lo strapotere) o come quella in cui Peppino riesce a fare ciò che nessuno era riuscito a fare prima di lui, cioè a colpire con lo stesso lancio di una pietra successivamente le tre cuspidi di una roccia sulla collina che domina Bagheria, ma invece del promesso tesoro affiora un covo di serpi (la mafia).



Bravissimo dunque Giuseppe Tornatore che ha costellato questo film con attori famosi e bravi, tra cui, oltre al citato Francesco Scianna, Margareth Madè, Nicole Grimaudo, Lina Sastri, Angela Molina, Salvatore Ficarra e Valentino Picone, Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Vincenzo Salemme, Michele Placido, Donatella Finocchiaro e tanti altri ancora.






Fonti:

http://it.wikipedia.org/wiki/Renato_Guttuso

http://www.prospettivaeditrice.it/libri/schedeautori/giuliano/giuliano1.htm

http://edizioniilfoglio.blogspot.com/2008/11/i-sassi-di-kasmenai-su-latina-notizie.html

http://www.mymovies.it/film/2009/baarialaportadelvento/

venerdì 25 novembre 2011

"Ora, o mai più", il terzo film di Lucio Pellegrini.

"Ora, o mai più" è un film diretto da Lucio Pellegrini e uscito nelle sale nell' anno 2003.
Il regista, assieme a Angelo Carbone e Roan Johnson , è autore anche del soggetto e della sceneggiatura. Il montaggio del film è stato curato da Walter Fasano, le musiche da Giuliano Taviani e la fotografia da Gherardo Grossi.
Nel cast hanno partecipato Violante Placito, Elio Germano, Jacopo Bonvicini, Edoardo Gabbriellini, Toni Bertorelli, Camilla Filippi e tanti altri.
La trama racconta di uno studente modello della Normale di Pisa che quasi  laureato si innamora  di una ragazza che lo inserisce nell' ambiente dei centri sociali e della sinistra extraparlamentare. La sua vita non sarà più la stessa e il suo modo di pensare sarà rivoluzionato.
Lucio Pellegrini si conferma tra i migliori registi italiani dell' ultimo decennio dirigendo una commedia drammatica, ricca di spunti e idee.

Lucio Pellegrini:
http://info-italia-cinema.blogspot.com/2011/10/lucio-pellegrini-una-carriera-tra.html
Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ora_o_mai_pi%C3%B9

Streaming del film completo su Youtube:

giovedì 24 novembre 2011

I fattori che inibiscono gli impulsi vitali e di crescita dei giovani nel film “La kriptonite nella borsa” di Ivan Cotroneo






Anch’io “quando ero piccolo” – parafrasando al maschile la canzone cantata (1968) dalla grandissima Mina nel film – leggevo il fumetto di Superman e mi dispiacevo ogni volta che questo simpatico supereroe perdeva i suoi superpoteri per la vicinanza del minerale immaginario “kriptonite” originario del suo pianeta natale Kripton. Questo è anche il nome di un elemento chimico (gas nobile) che in greco antico significa “nascosto”. E non è stato un caso la scelta di questo nome: la “kriptonite”, anche se “nascosta” purché vicina, agisce da inibitore, che è una sostanza che blocca l’azione di un catalizzatore, un’altra sostanza che, invece, aumenta la velocità di una reazione chimica.

In una Napoli effervescente di colori, di balli e di musica, come il Sirtaki (la cui musica venne composta nel 1964 da Mikis Theodorakis per il film Zorba il greco, interpretato dall’insuperabile Anthony Quinn), che rimase per molto tempo nella fantasia degli spettatori, dove il ritmo aumenta passo dopo passo, si susseguono e si intrecciano le vicende di questo film d’esordio del regista Ivan Cotroneo che usa la "kriptonite" come metafora per evidenziare che ognuno di noi può comportarsi nella vita come un supereroe fino a quando i suoi sentimenti non vengono inibiti, repressi, soffocati, frenati, dominati, quei sentimenti e quei pensieri che catalizzano il nostro modo di essere e fanno esplodere tutta la nostra vitalità e l’entusiasmo che è in noi.
Ivan Cotroneo per fare questo sceglie la famiglia ed un periodo storico della nostra società - i primi anni settanta, conseguenti agli anni sessanta o meglio al sessantotto -, in cui i fermenti impetuosi, i fervori passionali, le inquietudini giovanili, le novità effervescenti, l’amore libero, l’incipiente femminismo e le prime esperienze morfeiche affidate all’acido lisergico sintomatico di realistiche illusioni, avevano creato nei giovani delle aspettazioni e delle speranze che purtroppo - come si è visto poi - sono state inibite, represse, oppresse, impedite, ostacolate.
Il regista fa ciò in diversi modi e da diverse angolature, srotolando la pellicola sulle vicende che si svolgono attorno al simpatico bambino Peppino, protagonista predominante del film (Luigi Catani), figlio di Rosaria (Valeria Golino) e di Antonio (Luca Zingaretti). Il regista, infatti, lo fa mostrando inizialmente le fisime ossessive di Gennaro (Vincenzo Semolato) che credendosi un supereroe muore finendo sotto un tram. Il regista lo fa anche capire descrivendo come la serenità familiare possa essere repressa quando la moglie Rosaria scopre che il marito Antonio la tradisce ed entra in depressione mandando all’aria tutto e affidandosi alle cure del valente psichiatra Matarrese (Fabrizio Gifuni). La vergogna conseguente al tradimento e non il tradimento in sé è la fissazione struggente della donna, particolare bizzarro.
Il regista usa, in quel contesto, come appassionante cornice, la canzone di Mina “Quand'ero piccola/ dormivo sempre al lume di una lampada/ per la paura della solitudine/ paura che non mi ha lasciato mai/ nemmeno adesso che sei qui/ e dormi accanto a me/ ma sento che i tuoi sogni ti allontanano/ perché per quelli che si amano/ non c'è, non c'è/ lo stesso sogno da sognare in due…” che suscita negli spettatori istintive emozioni e, in quelli di una certa età, anche nostalgici ricordi. E proferisce con le note della canzone di Peppino di Capri Nun è peccato (1964) - “Si mme suonne 'int''e suonne che faje,/ nun è peccato!.../ E si, 'nzuonno, nu vaso/ mme daje.../ nun è peccato!.../ Tu mme guarde cu ll'uocchie 'e passione,/ io te parlo e mme tremmano 'e mmane.../ e si chesto pe' te nun è bene,/ mme saje dicere 'o bbene ched è?/ Si 'sta vocca desidera 'e vase.../ nun è peccato!/ Ma vestímmolo 'e vita stu suonno/ che 'a freve ce dá.../ E tu abbràcciame,/ cchiù forte astrìgneme.../ pecché 'ammore/ ca siente pe' me,/ peccato nun è!...” - come certi stereotipi inibiscano i sentimenti: l’innamoramento della giovane Titina (Cristiana Capotondi) con un giovane portatore di un handicap fisico inibito dal timore che per questo non possa essere accettato dal padre Vincenzo (Sergio Lolli) e dalla madre (Nunzia Schiano), oppure la frenetica ricerca sfrenata di un fidanzato da parte della zitella Assunta (Monica Nappo) che caparbiamente riesce a trovare Arturo (Massimiliano Gallo) ma che si vergogna di presentarlo ai genitori perché poveri.



Bellissime scene rendono ancora più suggestivo e più stimolante il film, tra cui quella del ballo del Sirtaki in una cornice di colori dinamicamente ritmati o quella degli ombrelli di color nero che muovendosi all'unisono e compattamente nascondono completamente il fluire mesto del funerale di Gennaro. E non mancano scene che portano lo spettatore a riflettere sullo stato delle istituzioni fondamentali che sono preposte all’educazione di un bambino: il piccolo Peppino pone nelle tre madri, quella che lo ha generato e che lo accudisce (che rappresenta la famiglia), la maestra (che rappresenta la scuola) e Maria vergine (che rappresenta la religione) delle basi fisse di riferimento essenziali per il suo sviluppo intellettuale e la sua crescita ma purtroppo, col susseguirsi delle vicende che lo hanno interessato e anche afflitto, le cancella via via definivamente dalla prima fino all’ultima, acquisendo nel contempo quegli stereotipi che gli bloccano una libera maturazione psichica e gli conferiscono frustrazioni e delusioni.
Un plauso al regista Ivan Cotroneo che in questo film affronta problemi sociali attuali e agli attori che con la loro bravura fanno sorridere lo spettatore. (Francesco Giuliano)







"La prima cosa bella" Virzì commuove con una commedia dal cuore italiano.

"La prima cosa bella", è un film diretto da Paolo Virzì, uscito nelle sale cinematografiche nel 2010. La sceneggiatura è stata scritta insieme a Francesco Bruni e Francesco Piccolo. La produzione oltre ai fratelli Virzì ha visto coinvolto anche Gabriele Muccino. Il film oltre ad essere stato canditato alla notte degli Oscar come miglior film straniero, ha vinto 3 David di Donatello, 4 nastri d'Argento, Alabarda d'Oro 2010, premi IOMA 2010 e trofeo Ciack al Festival del Cinema di Salerno.
Virzì torna nella sua Livorno per raccontarci la storia di Anna, donna libera, anticonvenzionale, disponibile verso la vita e le persone, intensa al punto da suscitare tanto amore quanto odio da chi la circonda e la ama. I figli, Bruno e Valeria Michelucci oramai adulti, vivono ancora intrappolati in un'infanzia irrisolta messa in ombra da una madre ingombrante. Iniziano così frammenti tra passato e presente della vita di Anna (interpretata in gioventù da un'affascinante Micaela Ramazzotti e da una più dolce Stefania Sandrelli in età adulta) che colpita da un male terminale, continua ancora ad inebriare la vita di chi la circonda, senza temere il tempo, portando i figli a una riconciliazione con le proprie vite.

Virzì continua a farsi portavoce della commedia italiana, quella che racconta stralci di vita vera, dove i personaggi sono alla continua ricerca di un posto nel mondo, ma che come un "uovo sodo" non vanno nè su nè giù". Il ruolo del figlio inadeguato e insoddisfatto travolto dal temperamento madre fin da bambino è meravigliosamente interpretato da Valerio Mastrandrea (Bruno), mentre la solare e spligliata sorella è interpretata da Claudia Pandolfi (Valeria).
La fotografia, diretta da Nicola Percorini, gioca un ruolo fondamentale, contesa tra scenari e musiche degli anni '70 e dei giorni nostri, di un'Italia malinconica che fa da cornice a una commedia piena di sentimento. La canzone "La prima cosa bella" è stata reinterpretata dalla cantante Malika Ayane in occasione dell'uscita del film.

Trailer:

http://www.youtube.com/watch?v=fZAG3kU9Q1E

Video colonna sonora Malika Ayane:
http://www.youtube.com/watch?v=cnrOQGwKxzw


Fonti:
http://www.mymovies.it/film/2010/laprimacosabella/

mercoledì 23 novembre 2011

"Le Notti Bianche", Luchino Visconti porta al cinema il romanzo di Dostoevskij.

"Le Notti Bianche" è un film di Luchino Visconti, ispirato all' omonimo romanzo dello scrittore russo e uscito nelle sale nell' anno 1957.
Luchino Visconti, in collaborazione con Suso Cecchi D' Amico è autore anche della sceneggiatura, le musiche sono state curate da Mino Rota, la fotografia da Giuseppe Ratunno, il montaggio preparato da Serrandrei, le scenografie da Mario Chiari e Mario Garbugli e i costumi da Piero Tosi.
Nel cast hanno partecipato Maria Schell, Marcello Mastroianni, Marcello Rovena, Corrado Pani, Maria Ranoli, Clara Calamari e tanti altri.
Il film ambientato a San Pietroburgo, è però stato girato negli studios di Cinecittà, la trama segue abbastanza fedelmente le linee del romanzo da cui si ispira e il film è un Kolossal che merita di essere visto.

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Le_notti_bianche_(film_1956)

Trailer del film su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=wETanz2vgkE
Il film completo in Youtube:


Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?

"Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l' amico misteriosamente scomparso in Africa" è un film diretto da Ettore Scola e interpretato da attori eccellenti come Mino Manfredi e Alberto Sordi. Il film è uscito nelle sale nel 1969
Il soggetto e la sceneggiatura del film sono stati realizzati dallo stesso Ettore Scola e da Age e Scarpellli, le musiche Armando Travajoli, la fotografia è stata curata da Claudio Cirillo, il montaggio da Franco Arcaldi, la scenografia da Armando Polidori, i costumi da Brana Parmesan.
Nel cast hanno partecipato Alberto Sordi, nel ruolo di Fausto di Salvio, un editore che parte per l' Africa alla ricerca del cognato disperso durante il suo lavoro di inviato all' estero, Mino Manfredi, nella parte Oreste Sabatini, il cognato di Salvio,  Bernard Blier, ragioniere e assistente di Salvio,  Branca Bettoia, Erika Blanc e tanti altri. Il film è prevalentemente ambientato in Africa.
Pressato dalla sorella, Fausto di Salvio, parte, accompagnato dal suo ragioniere per l' Africa, alla ricerca del cognato Oreste, giornalista della sua editoria disperso durante un viaggio di lavoro.
Dopo una lunga e avventurosa ricerca, scoprirà che Oreste è diventato un "Guro" di una tribù locale.
Il film è una graziosa commedia, che dietro una comunque trama divertente non nasconde temi e problematiche di grande profondità.

Il film completo su youtube:
Il Trailer su youtube:

Fonti:

"Accadde al penitenziario", un favoloso cast per Giorgio Bianchi

"Accadde al penitenziario" è un film diretto da Giovanni Bianchi e uscito nelle sale nell' anno 1955, il soggetto della pellicola  è stato scritto da Felice Zapulla, la sceneggiatura preparata da un trio composto da Ettore Scola, Ruggero Maccari e Giovanna Grimaldi, la fotografia diretta da Tonino delle Colli, il montaggio realizzato Adriana Novelli, le musiche da Franco Ferrara e Nino Rota e la scenografia è stata realizzata da Peppino Piccolo.
Nel cast hanno partecipato Aldo Fabrizi (nelle vesti di Cesare, un secondino fin troppo buono con i detenuti), Peppino De Filippo (detenuto per "libera scelta", preferendo la vita "tranquilla" del carcere a quella fuori), Alberto Sordi (un giovane vizioso e con problemi di carattere), Pietro Carloni, Nino Besozzi, Walter Chiari e tanti altri.
Il personaggio principale della storia è Cesare, un agente di custodia, che vive con difficoltà il suo lavoro, perché la sua tolleranza e disponibilità con i detenuti è mal vista dall' ottuso direttore del carcere.
Cesare addirittura compra oggetti e cibo per gli stessi carcerati e a causa della sua grande bontà non riesce a esercitare la propria autorità.
La trama ruota sui rapporti tra Cesare e i detenuti, vengono raccontate storie dei vari protagonisti del penitenziario che viene descritto come un posto tutto sommato umano.
A mio parere, nonostante il cast di altissimo livello il film non è eccezionale, le tematiche  descritte sono deboli, la descrizione dell' ambiente carceraria è distorta dalla reale e il film non fa né ridere, né pensare in maniera particolare.

Il Film completo su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=ue5x27DGh-E&feature=related

Uno spezzone del film su Youtube:

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Io_so_che_tu_sai_che_io_so

martedì 22 novembre 2011

"Finchè c' è Guerra c' è Speranza", Alberto Sordi distrugge l' ipocrisia della società occidentale.

"Finchè c' è Guerra c' è speranza" è un film scritto e diretto da Alberto Sordi e uscito nelle sale nel 1974.
L' attore romano è il vero mattatore del film, interpreta il ruolo dell' attore principale, del regista, è autore del soggetto e della sceneggiatura (quest' ultima in collaborazione con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi). Del montaggio si è occupato Ruggero Mastroianni, delle musiche lo è Piero Piccioni e della fotografia lo è Sergio D' Offizi.
Nel Cast hanno partecipato Alberto Sordi, nel ruolo di Pietro Chiocca un mercante d' armi ossessionato dalla volontà di dare benessere alla sua famiglia, Silvia Monti, nel ruolo di Silvia (moglie di Pietro, mondana e superficiale), e poi anche Alessandro Cutolo, Edoardo Faieta, Mauro Firmani e tanti altri.
La trama racconta di Pietro, un ex venditore di pompe idrauliche che per mantenere l' altissimo livello di vita della sua famiglia si trasforma in un commerciante d' armi. Pietro viaggia in Africa piazzando armi e rispettando il solo principio della convenienza economica.
Mentre vende armi al movimento di liberazione algerino rischia anche di restare ucciso durante un bombardamento.
Ritornando in Italia, dopo uno dei suoi tanti viaggi, viene aggredito verbalmente dalla sua famiglia, un inchiesta giornalistica ha reso noto il suo nome e il suo lavoro, disonorando la stessa...
Nel film Alberto Sordi attraverso contenuti tragicomici descrive l' ipocrisia della nostra società e ci spiega che le colpe di una guerra come anche della povertà africana non sono anche quelle indirette di una società che spesso dimentica che proprio benessere derivi della sofferenza altrui e che piuttosto che cambiare preferisce il non guardare.

Il film completo su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=odeGlYPP6Po

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/Finch%C3%A9_c'%C3%A8_guerra_c'%C3%A8_speranza


Una volta tanto i potenti hanno la peggio nel film francese "L'esplosivo piano di Bazil"



Questo film è una favola dei nostri tempi, raccontata secondo lo stile fumettistico, allettante e divertente del regista Jean-Pierre Jeunet. Una commedia, in parte ironica, che narra la vittoria dei deboli sui potenti, (una volta tanto ci vuole!) ma che a volte assume connotati tristi perché si sofferma dei delitti causati dalle armi di qualunque tipo e delle pene che è costretto a subire un povero ragazzo di nome Bazil, che rimane orfano di padre, deceduto accidentalmente per lo scoppio di una bomba. Bazil diventato adulto viene, anche lui accidentalmente, ferito gravemente da una pallottola vagante, rimanendo per questo privo di lavoro. Si vede allora costretto a dormire sotto i ponti e vivere senza fissa dimora. Nel suo girovagare incontra un clochard che gli fa conoscere altri clochard, ognuno dei quali sa fare cose molto interessanti e originali. Con loro Bazil progetta un piano di vendetta che lo vedrà vincitore sui “signori” che si arricchiscono con la vendita delle armi, quelle stesse armi che gli hanno rovinato la vita per sempre. Una favola che, con raffinata delicatezza e originale brio, affronta il tema nefando della produzione delle armi e quello annoso dei rifiuti, dai quali invece si possono ottenere strumenti meravigliosi e straordinari. Una favola che descrive da una parte le nefandezze e lo sfruttamento dei neri per loschi fini e dall’altra la sincera e appassionata umanità che traspare tra i deboli e i miserabili costretti a vivere di tutto quello che viene ritenuto, dalla società opulenta e consumistica, superfluo. Bravo il regista nell’uso della macchina da presa, meravigliosa e fantastica la sceneggiatura e bravo, tra tutti gli attori, Dany Boon che ha saputo interpretare con originalità e con una mimica eccezionale il personaggio Bazil.



Un film francese del 2009 di Jean- pierre Jeunet con gli attori Dany Boon, Nicolas Marié, Jean-Pierre Marielle, André Dussollier, Yolande Moreau, Julie Ferrier e tanti altri. (Francesco Giuliano)






Fonti:



"Il Magistrato", un melodrama sociale di Luigi Zampa.

"Il Magistrato" è un dramma diretto da Luigi Zampa e uscito nelle sale nel 1959.
Luigi Zampa si è occupato anche della sceneggiatura, assieme a Pasquale Festa Campanile e Massimo Franciosa, delle musiche è autore Manuel Merino e Gàbor Pogàny, del montaggio Mario Serandrei,  delle musiche lo è Renzo Rossellini, della fotografia Cesare Mogherini.
Nel cast hanno partecipato Francois Pèrier, Jacqueline Sassard, Andrea Morandi, Antonio Acqua, Claudia Cardinale, Maurizio Arena.
La trama tratta delle vicende un Magistrato J. Suarez (interpretato da Morandi) che indagando sul delitto di un imprenditore sociale portuale si imbatte in una serie di turbide vicende.
Zampa realizza un discreto dramma sociale che ha il solo torto di allargare eccessivamente la tematica rendendola parzialmente confusa.

Uno spezzone in spagnolo trovato su Youtube:
Fonti:

lunedì 21 novembre 2011

"Arte di Arrangiarsi", l' italiano descritto da Albertone.

"L' Arte di Arrangiarsi" è un film diretto da Luigi Zampa e interpretato tra gli altri da Alberto Sordi.
Il film uscito nelle sale nel 1954 ed è l' ultimo di una triologia scritta da Vitaliano Brancati, lo stesso Brancati è autore del soggetto e della scenografia, della fotografia è responsabile Marco Scarpelli, delle musiche Alessandro Cicognini, del montaggio Eraldo Da Roma, delle scenografia Mario Chiari e Mario Garbuglia.
Nel cast del film hanno partecipato Alberto Sordi, Elli Parvo, Franco Coop,  Armenia Balducci, Gaetano Verna e tanti altri.
La trama racconta della vita di un uomo,Rosario Scimoni (interpretato dal sempre immenso Alberto Sordi), che pur di vivere una vita accettabile compie una serie di scelte incoerenti e opportunistiche (politiche e non solo).
Il film  che è una satira sul trasformismo e l' istinto a arrangiarsi di alcuni italiani è sicuramente apprezzabile.

Il film completo su Youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=Ob8sU5Fw9rM
Il trailer su Yoube:
http://www.youtube.com/watch?v=TmUqQSv2cnY

Fonti:
http://it.wikipedia.org/wiki/L'arte_di_arrangiarsi

giovedì 17 novembre 2011

Sedotta E Abbandonata

Film italiano del 1964, è tra le opere meglio riuscite di Pietro Germi. Viene spesso paragonato al precedente film del regista Divorzio all'italiana, per via di alcuni fattori comuni, quali: il genere comico-grottesco, l'ambientazione in Sicilia, la tematica dell'assurdo pregiudizio dell'onore famigliare, la rabbiosa denuncia sociale verso la folle legislazione italiana.

Racconta la storia di Peppino, un giovanotto della piccola borghesia che aspira ad un posto negli impieghi statali, fidanzato alla figlia maggiore di un benestante, Matilde. La ragazza, addormenteta sia nel fisico che nel metafisico, non si acorge che il fidanzato seduce la sorella minore Agnese, graziosa studentessa che coltiva sogni di evasione sentimentale. La giovane rimane incinta, e la famiglia non impiegherà molto a scoprire l'accaduto. Questo il prologo che darà vita alla storia, per alcuni versi simile alla situazione della “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Ma subentrerà immediatamente un fattore diversificante: il concetto di “onore”. L'autore non ci dice come ha potuto stabilirsi un sistema tanto compatto, dove niente e nessuno sfugge alla legge dell'onore. Ci descrive, però, un mondo chiuso, privo di spiritualità e di calore umano, immerso in una grettezza bestiale. Sedotta e abbandonata vuole essere una rappresentazione totale, e definitiva, di un costume e di una mentalità: è indicativa la rinuncia, rispetto a Divorzio all'italiana, ai congegni della commedia tradizionele e ad un personaggio come quello del Barone Cefalù (Marcello Mastroianni), che di quel costume e di quella mentalità si serviva per i suoi fini, con molto cinismo e non senza equivoche strizzatine d'occhio. Più che di commedia, si dovrebe palare di farsa acre e spietata, di crudo sarcasmo: l'unico “fattaccio” avviene nei primi cinque minuti di proiezione, e il resto non è che un grottesco e barocco rituale per riparare tale disgrazia.

Germi pone a protagonista del film lo straordinario Saro Urzì, impegnandolo senza sosta ed egregiamente in una unica nota urlata, fin nel letto di morte, nelle sua forsennata salvaguardia dell'onore famigliare: un personaggio, questo, che definisce senza mezze misure i guasti di una mentalità e di un costume. Un padre-padrone che è la versione grottesca di quello de Il ferroviere: una forsa della natura completamente in preda al proprio inconscio. La morte del patriarca, esaurito per la troppa energia prodigata, eleva il film ai vertici della tragedia.

Gli altri personaggi sono una serie di “ritrattini” eccellenti, spesso scolpiti fin dalla loro prima apparizione sullo schermo, di cui, i più azzeccati risultano essere, a parte il sanguinario Ursì, Matilde e il marescialo dei carabinieri.

Il ritmo incalzante, serrato, fittissimo, frenetico di tutto il film, dai frequenti risvolti corali di gusto picaresco, è evidente nell'altissimo, assordante, massacrante volume a cui è stata registrata tutta questa sequela di urla isteriche, di insulti, di sghignazzate. La stessa musica del Rustichelli, vivacissima ma sempre ossessiva, prova che Germi ha voluto frustare come divertire.

Il linguaggio impiegato da Germi raggiunge una virtuosistica perfezione in questa pellicola. Lo stile arioso delle immagini della Sicilia serve ad accentuarne la gradevolezza e godibilità. Una Sicilia però, esclusivamente preoccupata dagli affari privati e sentimentali delle famiglie in vista, travolta dalla follia erotica e dal pregiudizio d'onore. Viene completamente abbandonata quella visione della Sicilia molto più seria, che il regista in passato ci avaeva mostrato in In nome dela legge e Il camino della speranza.

L'uso dello zoom, accentuato dal grandangolo, stravolge ogni ricordo del découpage classico rispettato fino a Un maledetto imbroglio. Il racconto avanza vorticoso come un fiume in piena che abbatte ogni argine, sottolineando il perverso godimento del regista nel mettere in campo un bestiario che si abbandona senza ritegno all'eccesso, fino a rischiare il ridicolo, come nelle due scene degli incubi.

Il tema attaccato da Germi è quello riguardante l'articolo della legislazione italiana che attribuiva al matrimonio il potere di cancellare ogni precedente reato dell'uomo nei confronti della donna, dalla violenza al ratto. Il film è molto impegnato ma non abbastanza per rinunciare a gag e comicità. Questa caratteristica pregiudica la comprensione della tematica da parte del pubblico, che ride e non comprende la dremmaticità di quel che succede sullo schermo, non afferra la corretta fruizione del messaggio che il regista voleva trasmettere. Questo è forse l'unico vero difetto di un'opera che risulta essere una pietra miliare nel panorama cinematografico italiano, assolutamente non inferione (per qualità narative, padronanza del mezzo tecnico, abilità nel guidare e amalgamare la reciazione che Germi sottolinea di possedere) alle opere di mastri quali Visconti e Fellini.



Fonti:


Leonardo Autera, in “Bianco e Nero”, n. 2, Febbraio 1964.

Pietro Bianche, in “Il Giorno”, 1964.

Mario Soldati, “L'Europeo”, Milano, 15 Marzo 1964, ora in Id, Da spettatore, Milano, Mondadori, 1973.

Guido Fink, in “Cinema Nuovo”, n. 168, Marzo-Aprile 1964.

Tullio Kezich (1963), in Il Film Sessanta, Il Formichiere, Milano, 1979.

Lino Miccichè (a cura di), “Signore &Signiri” di Pietro Germi. Uno sguardo ridente sull'ipocrisia morbida, Lindau, Torino, 1997.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sedotta_e_abbandonata

http://www.italica.rai.it/principali/multimedia/dvd/sedotta.htm

http://trovacinema.repubblica.it/film/sedotta-e-abbandonata/118417

http://guidatv.sky.it/guidatv/programma/film/commedia/sedotta-e-abbandonata_19638.shtml

"Anche se è amore non si vede", Ficarra & Picone registi di una spassosa commedia.

Ficarra e Picone con il film “Anche se è amore non si vede” si calano nuovamente nei panni di registi-attori, con una nuova commedia che apre le porte alla stagione dei cinepanettoni. La sceneggiatura scritta in collaborazione con Francesco Bruni e Fabrizio Testini è goliardica, divertente ricca di battute esilaranti, il film regala un Happy Hour piacevole pieno di naturale comicità .

Salvo e Valentino (Ficarra e Picone) originari del sud, per vivere girano con un bus turistico facendo da ciceroni ai gruppi in vacanza nella città di Torino. Caratterialmente opposti, Salvo è un single incallito sempre pronto a ingegnarsi per far capitolare tra le sue braccia le ragazze, mentre Valentino fedele ragazzo impegnato da anni con Gisella è sempre pronto a manifestare ossessivamente il suo amore per lei con gesti eclatanti e un po’ imbarazzanti, al punto da suscitarle il desiderio di lasciarlo.
Ma l’arduo compito spetterà proprio a Salvo, il quale cercherà di alleviare le pene dell’abbandonato Valentino, impegnato invece a “sistemare” l’amico farfallone…Entrambi ignari di tutto, tra malintesi, imprevisti e gelosie saranno coinvolti in rocambolesche situazioni a lieto fine… Spassosissima una delle scene finali dove un banchetto di matrimonio sembra diventare una parodia dei film di Bud Spencer e Terence Hill. Le protagoniste femminili Ambra Angiolini, Diane Fleri e Sascha Zacharias così diverse tra loro, riescono a rappresentare in modo divertente e colorato la personalità dei personaggi rendendo la pellicola fresca e mai volgare.

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=BtC-K3nSYm8