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sabato 15 febbraio 2020

“Il ladro di giorni”, on the road l’espiazione di un padre costretto ad abbandonare il figlio


Regia: Guido Lombardi
Soggetto: Guido Lombardi
Sceneggiatura: Guido Lombardi, Luca De Benedettis, Marco Gianfreda
Musica: Giordano Corapi
Produzione Paese:Italia, 2019
Cast: Riccardo Scamarcio, Massimo Popolizio, Giorgio Careccia, Vanessa Scalera, Augusto Zazzaro, Carlo Cerciello, Rosa Diletta Rossi, Leandra Concetta Fili, Katia Fellin, […]

Anche se il soggetto del film Il ladro di giorni di Guido Lombardi ha ricevuto il Premio Solinas Storie per il Cinema 2007 per la sua originalità, la sua sceneggiatura appare saltuaria e non efficace, tant’è che spesso interrompe quell’attesa che continuamente suscita nello spettatore. Il film diretto da Guido Lombardi descrive la storia di un ragazzo undicenne, Salvo (Augusto Zazzaro), che, all’età di 4 anni mentre sta per tuffarsi dagli scogli a mare, vede il padre Vincenzo (Riccardo Scamarcio) sparire e lo vede riapparire dopo sette anni, quando ormai il ricordo di lui era sfumato, a casa della zia Anna (Vanessa Scalera), nel giorno della sua prima comunione. Salvo, in un primo momento, mostra difficoltà a riconoscere il padre (Non mi riconosci?- gli chiede il padre) che lo vuole portare con sé in auto, dal Trentino in Puglia, per quattro giorni per effettuare la consegnare di un pacco illecito (di droga). Preferisce il figlio alla pistola che rinuncia a portarsi, in quanto in caso di stop, comunemente le forze dell’ordine dimostrano moderazione e irrisolutezza in presenza di un minore. Tuttavia questo viaggio appare come un pretesto perché Vincenzo ne vuole approfittare per conoscere il figlio e farsi conoscere svelandogli tanti segreti, tante falsità su di lui e la conoscenza del prof. Mangiafreda (Carlo Cerciello) per colpa del quale gli sono stati rubati tutti quei giorni passati in carcere. Sette anni per l’esattezza (Pensa a quanti giorni ci ha rubato questo), che forzatamente sono gli stati sottratti per vedere, maturare ed educare il figlio che nel frattempo è rimasto orfano di madre. Un viaggio che è come una penitenza per ottenere la redenzione che il regista collega con i flagellanti di Gravina di Puglia anche se ciò non appare integrato alla realtà vissuta da Vincenzo.
Filmografia
Vomero Travel (2010), Là-bas (2012), Take five (2013).

Francesco Giuliano

sabato 23 novembre 2019

“L’ufficiale e la spia”, un film che mette a confronto il formalismo militare con la veridicità di un fatto storico


Titolo: L’ufficiale e la spia
Titolo originale: J’accuse
Regia: Roman Polanski
Soggetto: Robert Harris (dal romanzo J’accuse)
Sceneggiatura: Robert Harris, Roman Polanski
Musiche: Alexandre Desplat
Produzione Paese: Francia, Italia, 2019
Cast: Jean Dujardin, Luois Garrel, Emmanuel Seigner, Grégory Gadebois, Mathieu Amalric, Melvil Poupaud, Eric Ruf, Laurent Stocker, François Damiens, Michel Vuillermoz Denis Podalydès, Wladimir Yordanoff, Didier Sandre, Vincent Grass, […]





Il ten. col. Marie-Georges Picquart (Jean Dujardin), nel 1895, incaricato di dirigere la sezione dei servizi segreti dell’esercito francese, scopre  che il capitano Alfred Dreyfus (Louis Garrel), di origini ebree, l’anno precedente era stato condannato a scontare la pena detentiva, presso l’isola del Diavolo nella Guyana francese, per avere trasmesso segreti militari all’esercito tedesco. Il tribunale aveva emesso la sentenza basandosi su prove false: In nome del Popolo francese, il primo Consiglio di guerra del Governo militare di Parigi ha riconosciuto l'imputato Dreyfus Alfred colpevole del reato di alto tradimento. E quel che pensava il gen. Raoul Le Mouton De Boisdeffre (Didier Sandre) dimostra l’opinione che l’esercito aveva nei confronti di questo ufficiale perché probabilmente si trattava di un complotto in quanto l’indiziato era ebreo: La punizione che abbiamo inflitto a Dreyfuss mostrerà al mondo come trattiamo i traditori. Il ten. col. Picquart, mettendo a rischio sia la sua carriera di ufficiale che la sua stessa vita, per una questione di coscienza intraprese una strenua lotta contro i capi sia militari che politici. Ma incontrò un muro di gomma, come capita spesso quando sono coinvolti segreti militari. E si rese conto che quando una società arriva a tanto, cade in decomposizione. Picquart, dato che come ufficiale in servizio non poteva dire niente, venne appoggiato dallo scrittore Emile Zola, che pubblicò, nel giornale L’Aurore, un j’accuse a trecentosessanta gradi al fine di fare emergere la verità e liberare il capitano Dreyfus: Accuso il generale Mercier (Wladimir Yordanoff) di essersi reso complice di una delle peggiori iniquità del secolo. Accuso il generale Billot (Vincent Grass) di avere le prove dell'innocenza di Dreyfus e di averle soffocate. Accuso gli esperti calligrafi (Mathieu Amalric) di aver fatto dei rapporti fraudolenti.
Precedentemente questa storia molto complicata e complessa, che coinvolse l’opinione pubblica francese, dividendola come al solito in colpevolisti e in innocentisti, e vari intellettuali dell’epoca a favore di Dreyfus, è stato lo spunto molto proficuo della produzione di diversi cortometraggi contemporanei al processo e di svariati film tra cui L’affare Dreyfus (1958) di José Ferrer,  L’affare Dreyfus (1968) di Leandro Castellani, Il giudice e l’assassino (1976) di Bertrand Tavernier e Prigionieri dell’onore (1991) di Ken Russel.
Roman Polanski, usando il suo consueto linguaggio drammatico, fatto di inquietudine e di violenza, con il quale penetra nella dura realtà profondamente, mette in risalto sin dall’inizio il truce formalismo militare, apparentemente impeccabile e perfetto, che si mostra come un baluardo inespugnabile ma che soltanto il coraggio, l’audacia e il senso dell’onestà intellettuale possono rendere fragile e demolire. Dal film L’ufficiale e la spia emerge, infatti, il disprezzo della tracotanza dei potenti che soltanto la coscienza con uno sforzo sovrumano può sconfiggere. Con un ritmo narrativo che non presenta sbavature e che non lascia distrazioni, il regista riesce a veicolare lo spettatore su quel che è il suo pensiero: molto spesso l’apparenza e le parate ingannano perché nascondono delle falsità che solo chi ha rispetto della dignità umana e come guida la legge morale interiore potrà sconfiggere.
Il film alla LXXVI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha ottenuto Il Leone d’argento – Gran Premio della Giuria, il Premio FIPRESCI al miglior film in concorso e il Green Drop Award e 4 candidature al European Film Awards 2019.
Filmografia
IL coltello nell’acqua (1962), Repulsione (1965), Cul-de-sac (1966), Per favore, non mordermi sul collo (1967), Rosemary’s Baby (1968), Macbeth (1971), Che? (1972), Weekend of a Champion (1972), Chinatown (1974), L’inquilino del terzo piano (1976), Tess (1979), Pirati (1986), Frantic (1988), Luna di fiele (1992), La morte e la fanciulla (1994), La nona porta (1999), Il pianista (2002), Oliver Twist (2005), L’uomo nell’ombra (2010), Carnage (2011), Venere in pelliccia (2013), Quello che non so di lei (2017).

Francesco Giuliano



venerdì 1 novembre 2019

“L’uomo del labirinto”, un bel thriller psicologico che provoca brivido e inquietudine nello spettatore ponendolo in continua attesa


Titolo: L’uomo del labirinto
Regia: Donato Carrisi
Soggetto: Donato Carrisi
Sceneggiatura: Donato Carrisi
Musiche: Vito Lo Re
Produzione Paese: Italia, 2019
Cast: Toni Servillo, Dustin Hoffman, Valentina Bellè, Vinico Marchioni, Luis Gnecco, Riccardo Cicogna, Stefano Rossi Giordani, Caterina Shulha, Orlando Cinque ,[…]



L’uomo del labirinto è un thriller mozzafiato, di tipo psicologico molto ben curato, che inizia con il rapimento di una ragazza, Samantha Andretti (Valentina Bellè) mentre percorreva una strada isolata. Da questo momento in poi il film si svolge su due percorsi paralleli. Da una parte c’è Bruno Genko (Toni Servillo) un investigatore privato, ricco di sensibilità, dal grande spessore umano, trascurato, a cui due mesi prima i medici hanno pronosticato una breve durata di vita. A causa di un passato non sempre limpido, cerca di riscattarsi nei pochi giorni che gli rimangono di vivere, indagando sul rapimento della ragazza e andando alla ricerca del mostro che, a quanto ha saputo, ha stranamente la testa di un coniglio. Dall’altra parte, c’è un profiler, il dottor Green (Dustin Hoffman), che, per scoprire il rapitore, cerca di fare riacquistare la memoria alla ragazza la quale, dopo quindici anni di clausura, in cui è stata sottoposta a iniezioni di droghe psicotrope, essendo stata liberata, si trova ricoverata nell’ospedale Santa Caterina per le cure necessarie. L’unico ricordo che Samantha ha è quello di essere stata rinchiusa in un labirinto dove più che la fame soffriva la sete e dove ogni stanza presentava un’insidia da cui doveva scappare. Il dottor Green è, a differenza di Genko, un uomo molto distaccato, freddo, misterioso, cinico, che suscita, con i suoi modi di fare e di dire e i suoi sguardi, inquietudine e sospetto.
La storia, che si svolge attraverso un percorso molto ingarbugliato, è popolata da personaggi deformi e orribili e, quando sembra che la soluzione sia a due passi, essa prende un altro varco, che lascia in uno stato di inquietudine e di continua attesa lo spettatore suscitandogli nel contempo momenti di brivido e di apprensione.
L’uomo del labirinto è caratterizzato da una situazione fondamentale che, ponendo lo spettatore di fronte a problemi individuali e sociali di grande attualità, lo fanno riflettere profondamente e lo mettono di fronte ad una realtà, che è quella in cui egli stesso vive, e dove ciò che in un dato momento gli sembra verità subito dopo appare come falsità e viceversa, e dove, come dice lo stesso Servillo, ci sono due labirinti:  quello fisico determinato dalla città in cui si abita, e quello mentale da cui si tenta di sfuggire. L’inganno e il plagio, spesso, riducono l’individuo libero in uno stato di schiavitù sia di natura fisica che mentale perché lo inducono in uno stato di totale soggezione al potere altrui. Con un finale imprevedibile, il film, come se fosse un suggeritore, porta lo spettatore a capire che da tale stato si potrebbe uscire usando la razionalità necessaria che vince qualunque sentimento negativo. E lo fa attraverso due grandi attori come Toni Servillo e Dustin Hoffman.
Filmografia
La ragazza nella nebbia (2017).
Francesco Giuliano

venerdì 25 ottobre 2019

“Tutto il mio folle amore”, un film avvincente on the road alla scoperta dei sentimenti


Titolo: Tutto il mio folle amore
Regia: Gabriele Salvatores
Soggetto: Fulvio Ervas (dal romanzo Se ti abbraccio non aver paura)
Sceneggiatura: Umberto Contarello, Sara Mosetti, Fulvio Ervas
Musiche: Mauro Pagani
Produzione Paese: Italia, 2019
Cast: Claudio Santamaria, Valeria Golino, Diego Abbatantuono, Giulio Pranno, Daniel Vivian, Marusa Majer, Tania Garibba, Maria Gnecchi, […]



Vincent (Giulio Pranno), nato da un occasionale rapporto sessuale tra Willy (Claudio Santamaria), cantante su una nave da crociera, ed Elena, (Valeria Golino), è un sedicenne affetto da una grave malattia neurologica sin dalla nascita. Per questo il giovane, che si comporta in modo disinibito, irrefrenabile, libero da stereotipi, estraneo alla paura, come un cavallo senza briglia e senza cavaliere, ha bisogno di continue cure e particolari attenzioni che rendono alla madre la vita molto complicata e non facile, dato che si è trovata a gestire da sola la problematica situazione essendo stata abbandonata da Willy quando scopre di essere rimasta incinta: la felicità, purtroppo, non è un diritto, è un colpo di culo!  Per fortuna, con il procedere degli anni, Elena viene ad avere un sostegno sia materiale che affettivo da Mario (Diego Abbatantuono), il suo nuovo e instancabile compagno, che tratta Vincent come se fosse suo figlio.
Dopo sedici anni, tuttavia, a Willy viene il desiderio di conoscere il figlio perché non sa che faccia ha, né come si chiama, ma, come avviene in questi casi, egli viene respinto violentemente da Elena che gli confessa di aver chiamato il figlio Vincent per la canzone di Don MacLean che Willy le aveva cantato Starry, starry night/ paint your palette blue and grayì/ look out on a summer’s day/ with eyes that know the darkness in my soul/ shadows on the hills/ sketch the trees and the daffodils/ catch the breeze and the winter chills/ in colors on the snowy linen land/ (Notte piena di stelle/ colora la tua tavolozza di blu e di grigio/ guarda fuori in un giorno d’estate/ con occhi che conoscono/ l’oscurità della mia anima/ ombre sulle colline/ tratteggiano alberi e giunchiglie/ cattura la brezza e il gelo invernale/ nei colori sul terreno ammantato di neve …). Vincent, tuttavia, fugge da casa perché sente il bisogno di ritrovare il padre che con sua grande sorpresa dice: dopo una grande sfiga, arriva sempre una grande fortuna. E Vincent segue il padre in un tour canoro lungo la Slovenia e la Croazia e durante questo viaggio emergono nel suo animo e in quello di suo padre tutti quei sentimenti che nel tempo erano rimasti latenti nella loro interiorità.
Gabriele Salvatores, come è nel suo stile, anche questa volta cerca di scavare nella profondità dell’animo umano che nella vita quotidiana è sottoposto a continue frustrazioni e casuali imprevisti che gli stravolgono l’esistenza e lo distolgono da suo essere umano. E lo fa on the road che trova un lieve parallelismo nel romanzo di Jack Kerouac Sulla strada, in quella frase, divenuta famosa, dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Infatti, padre e figlio, attraverso continue peripezie e passando per terreni nudi e irti, proseguono il loro percorso per raggiungere la meta, che li porta, nel contempo e pian piano, a scoprire le origini della propria essenza, da cui sfociano impetuosi i loro più belli sentimenti rimasti reconditi per sedici lunghi anni. E Salvatores lo fa usando un alone di metafora con cui manifestare che, oggi, le persone sono soggiogate dalle regole sregolate di una società che ha perduto il suo senso, e dalle quali dovrebbero liberarsi per fare riemergere quei sentimenti che hanno in sé ma che non sanno di possedere. Solo mettendosi in gioco, come fa nella parte del film Elena, autodefinitasi nuotatrice indomita, e liberandosi anche dalle proprie turpitudini, ogni individuo potrebbe fare emergere le radici della propria essenza umana perché come canta Fabrizio De André, in Via Del Campo, dal letame nascono i fior. 
Il soggetto del film è stato tratto liberamente dal romanzo Se ti abbraccio non avere paura di Fulvio Ervas, edito da Marcos Y Marcos, che descrive la vera storia di Andrea e Franco Antonello, padre e figlio autistico che hanno viaggiato in moto dagli Stati Uniti al Sud America.
Il film è stato presentato fuori concorso alla LXXVI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. 
Filmografia
Sogno di una notte d’estate (1983), Kamikazen – Ultima notte a Milano (1987), Marraech Express (1989), Turné (1990), Mediterraneo (1991), Puerto Escondido (1992), Sud (1993), Nirvana (1997), Denti (2000), Amnèsia (2001), Io non ho paura (2003), Quo vadis, baby? (2005), Come Dio comanda (2008), Happy Family (2010), Educazione siberiana (2013), Il ragazzo invisibile (2014), Il ragazzo invisibile – Seconda generazione (2018).
Francesco Giuliano

giovedì 17 ottobre 2019

“Le verità”, una storia ricca di confronti e scontri tra madre e figlia che sfocia nell’esplicitazione di sentimenti inibiti


Titolo: La verità
Titolo originale: La vérité
Regia: Hirokazu Kore’eda
Sceneggiatura: Hirokazu Kore’eda
Musiche: Aleksej Ajgi
Produzione Paese: Francia, Giappone, 2019
Cast:Catherine Deneuve, Juliette Binoche, Ethan Hawke, Clémentine Grenier, Manon Clavel, Christian Crahay, Roger Van Hool, Ludivine Sagnier, Laurent Capelluto, Alain Libolt, […]



Fabienne (Catherine Deneuve), grande attrice, brava e famosa, ormai avanti negli anni, ha scritto la sua biografia. Per festeggiare la pubblicazione ,di cui l’editore ha stampato già 50 mila copie, la raggiunge la figlia Lumir (Juliette Binoche), che fa la sceneggiatrice a New York, col marito Hank (Ethan Hawke), attore di scarsa rilevanza, e la piccola figlia. Durante questa improvvisa e inaspettata riunione di famiglia riemergono, tuttavia, risentimenti e conflitti dovuti a quelle verità, o presunte tali, che Fabienne ha scritto nel proprio libro. Scaturisce sin dai primi dialoghi tra figlia e madre che costei nella sua vita difficilmente sia stata priva di contraddizioni. Al contrario, la sua incoerenza è stata costante. Si è comportata, infatti. come se lei fosse vissuta in un mondo tutto suo, fatto di interpretazioni diverse congrue con determinati momenti della sua vita.  Infatti Lumir contesta alla madre: Mi avevi promesso di mostrarmi le bozze del tuo libro, prima di pubblicarlo, te lo ricordi? E ancora, dopo la lettura della biografia, esclama:  Mamma, non riesco a trovare una cosa vera qui dentro! Forse Fabienne nello scrivere la sua vita era stata trasportata dalle emozioni del momento piuttosto che dai ricordi che ormai erano lontani nel tempo e questa lontananza le aveva fatto perdere i relativi connotati sinceri e precisi. Si evince, dunque, che Fabienne, in ambito familiare e anche nella descrizione delle sue memorie, abbia indossato una maschera – parafrasando Pirandello una, nessuna, centomila -, adatta all’uopo così come ha fatto nelle sue diverse interpretazioni filmiche: Sono le mie memorie, il mio libro, ho il diritto di scegliere cosa scrivere, no?Meglio essere una cattiva madre, una cattiva amica e una buona attrice! E anche se tu non mi perdoni, il pubblico mi perdona! E abbia sempre trovato la risposta giusta ad ogni domanda fastidiosa come quando a Lumir, che le fa notare di non essere mai andata a vedere lo spettacolo che ha fatto alle medie, risponde: sempre meglio averti trascurata che essermi immischiata nella tua vita privata.
Soltanto due brave e mature mattatrici istrioniche, come Catherine Deneuve e Juliette Binoche, dirette dall’abilità del regista giapponese Hirokazu Kore’eda, potevano fare apprezzare allo spettatore quegli stessi stati emotivi che i loro rispettivi personaggi provavano. I dialoghi intensi, attraverso il contatto fisico, il guardarsi negli occhi, le carezze istintive, il confrontarsi, il rinfacciarsi i comportamenti passati vicendevolmente e l’esternazione delle loro opinioni, stavano determinando via via l’esplicitazione dei loro veri sentimenti, avulsi da ogni intima macchinazione, che madre e figlia già possedevano nella loro interiorità. Sentimenti che per tutta la loro vita erano stati repressi perché esse non si erano mai incontrate e scontrate come stavano facendo ora, a causa del fatto che Fabienne aveva dato tutta se stessa al cinema inibendo del tutto gli affetti familiari.
Le verità, che è un encomio alla carriera di Catherine Deneuve, ha concorso per il Leone d’oro alla LXXVI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. 
Filmografia
Maborosi (1995), Wandāfuru raifu )1998), Distance (2001), Nessuno lo sa (2004), Hana yori mo naho (2006), Aruitemo aruitemo (2008), Kuki ningyō (2009), Kiseki (2011), Father and Son (2013), Little Sister (2015), Ritratto di famiglia con tempesta (2017), Sandome no satsujin (2017).
Francesco Giuliano



martedì 15 ottobre 2019

“Brave ragazze”, un film che con brio manifesta i lineamenti della condizione femminile


Titolo: Brave ragazze
Regia: Michela Andreozzi
Soggetto: Michela Andreozzi, Alberto Manni e Fiorenza Tessari
Sceneggiatura: Michela Andreozzi e Alberto Manni
Musiche: Maurizio Filardo
Cast: Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi, Silvia D’Amico, Stefania Sandrelli, Luca Argentero, Max Tortora, Michela Andreozzi, Massimiliani Vado, Fabio Morici, Fabrizio Colica, Ludovica Paglia, Michele Savoia, Pietro Genuardi, […]




Tra Gaeta e Fondi, due città della provincia pontina, all’inizio degli anni ottanta, quattro donne, quattro amiche per la pelle, quattro brave ragazze - Anna (Ambra Angiolini) con due figli piccoli che vive con la madre Lucia (Stefania Sandrelli), Chicca (Ilenia Pastorelli) e Caterina (Silvia D’Amico), due sorelle squattrinate e orfane con caratteri diametralmente diversi e Maria (Serena Rossi), una donna costumata tutta casa e chiesa che subisce costantemente le violenze del marito Giuseppe (Massimiliano Vado) -, si trovano in uno stato di disagio economico o familiare, o, come si dice comunemente, in uno stato di incipiente crisi di nervi. Per potere risollevarsi dallo stato indigente in cui versano e dato che la loro vita è un agguato continuo, esse costituiscono una banda con lo scopo di rapinare una banca al fine di avere quei proventi che le permettano di tirare a campare. Tutto avviene in seguito alla proposta di Chicca: Ma perché non la facciamo veramente una rapina, eh? E lo fanno travestendosi da uomini. Spinte dunque dal bisogno economico e alla ricerca di un riscatto sociale, armatesi di coraggio, svaligiano una banca e poi un’altra ancora. I proventi di quest’ultima sono più consistenti della prima, tant’è che la loro vita cambia come la notte con il giorno. Su queste rapine, tuttavia, indaga il commissario Gianni Morandi (Luca Argentero) che, appassionato dei romanzi gialli di Georges Simenon, inizialmente si viene a trovare come in un cul de sac ma, in seguito all’uccisione di Giuseppe, il marito di Maria, riesce a trovare un indizio che forse gli spianerà la strada investigativa. La storia è tratta da una vicenda vera avvenuta in Provenza verso la metà degli anni ottanta.
La regista, al suo secondo film, dopo essere stata interprete in diversi film anche in RAI, ha scelto la scenografia nella suggestiva città di Gaeta per affetto e attaccamento sentimentale perché, pur essendo nata a Roma, è il posto dove è cresciuta. In Brave ragazze, film prettamente al femminile, Michela Andreozzi riesce con acume e accuratezza a dare alle sue quattro protagoniste caratteri individuali che evidenziano i diversi modi di essere della donna. C’è Anna, ragazza madre, che con spirito di sacrificio cerca di sopravvivere facendo lavori precari: Ho che non ho un lavoro, ho che non sono riuscita a comprare due costumi di carnevale per i miei figli; poi c’è Chicca, una ragazza disinibita, impavida, intraprendente e audace al contrario della sorella Caterina che è introversa, pavida, timoprosa e insicura, e, infine, c’è Maria che, essendo molto legata alla dottrina cattolica, accetta ogni tipo di maltrattamento dal marito geloso e autoritario.
Brave ragazze, un film che appare come una metafora del riscatto sociale della donna, ha ottenuto il premio Filming Italy Best Movie Award 2019 per la Migliore regia a Michela Andreozzi.
Filmografia
Nove lune e mezza (2017).
Francesco Giuliano

sabato 5 ottobre 2019

“Joker”, una metafora per descrivere le inquietudini e i turbamenti dei tempi moderni


Titolo: Joker
Regia: Todd Phillips
Soggetto: Bob Kane, Bill Finger, Jerry Robinson
Sceneggiatura: Todd Phillips, Scott Silver
Musiche: Hildur Guõnadóttir
Produzione Paese: USA, 2019
Cast: Joaquin Phoenix, Robert De Niro. Zazie Beetz, Frances Conroy, Brett Cullen, Douglas Hodge, Dante Pereira-Olson, Shea Wigham, Bill Camp, Glenn Fleshler Leigh Gill, Josh Pais, Marc Maron, Brian Tyree Henry, Bryan Calle, […]



Alcune città sono splendide, di notte. Gotham non è una di queste. E a Gotham city, che deve la sua fama ai roditori, ai cumuli di immondizie e alla gente che viene uccisa tornando a casa ogni giorno, c’è un incredibile degrado sociale.  A Gotham city, infatti, imperano la disuguaglianza e l’emarginazione, i servizi sociali per recuperare i più deboli e i più bisognosi di cure sono sospesi per mancanza di fondi, la delinquenza spicciola è alla portata di giovani insensati, la cattiveria genera altra cattiveria senza freno. A Gotham city c’è una grande disparità sociale. A Gotham city, infatti, c’è molta gente che vive nella miseria e nella sporcizia e soffre per mancanza dei servizi essenziali, mentre i ricchi scialacquano nell’abbondanza, nell’arroganza e nella violenza. Uno di questi è Thomas Wayne (Brett Cullen) che vive in una sontuosa villa fuori città e che si è candidato a sindaco dopo che sono stati tagliati i fondi che sostenevano i servizi sociali. Una metafora dei tempi moderni, quindi, dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri sono continuamente vilipesi e sfruttati. A Gotham city, vive in un palazzo degradato con la madre Penny (Frances Conroy) Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), un uomo scheletrico con gravi problemi psichici che spesso gli provocano attacchi duraturi di risata incontrollabili. Per questo è costretto, dopo che lo hanno dimesso da una casa di cura, a rivolgersi ai servizi sociali, mentre per campare si veste e si trucca la faccia da joker cercando di divertire la gente per le strade di Gotham, e fa il comico in un locale notturno, perché sua madre gli diceva sempre di sorridere e mettere una faccia felice … e portare risate e gioia nel mondo. La sua vita si svolge senza appigli, senza sogni e senza speranze come se fosse un automa in una città che non gli offre stimoli di nessuna natura. Tutto lo lascia indifferente, niente lo entusiasma se non l’incontro nell’ascensore con la bella vicina di appartamento, Sophie (Zazie Beetz) che ne apprezza le lusinghe.  Gli unici sfoghi per Arthur sono la televisione, di cui segue il famoso programma del cinico Murray Franklin (Robert De Niro) presso cui si reca per un provino, e la madre invalida, che accudisce con grande cura e devozione perché è l’unica persona che lo comprende. Tutto procede normalmente nella sua vita quotidiana fino a quando interviene a sproposito e in modo sbagliato contro tre giovani benestanti che sulla metro scherniscono una ragazza. In quel momento Arthur ha la faccia truccata da joker. Infatti si vocifera che Gotham si è persa. Che razza di vigliacco può fare questo a sangue freddo? Uno che si nasconde dietro una maschera. La sua situazione psichica peggiora quando in televisione vede nel talk show il suo provino non riuscito e Murray Franklin che lo deride. Si rende conto che quel mondo in cui vive gli sta stretto tant’è che la cattiveria che si abbatte su di lui lo rende estremamente indifferente ma soprattutto cattivo. Ed è questa cattiveria che viene apprezzata da tutti coloro che socialmente si trovano nella sua stessa situazione. Diventa un idolo per costoro tant’è che condividendone il comportamento indossano la maschera di clown, identificandosi in tal modo con lui. Athur infatti da quel momento afferma: Ho sempre pensato alla mia vita come a una tragedia, adesso vedo che è una commedia!
Ed è, in accordo a questa asserzione, che nei titoli di coda viene cantata la canzone Smile di Charlie Chaplin: Smile though your heart is aching,/ Smile even though it’s breaking,/ When there are clouds in the sky,/ You’ll get by,/ If you smile through your fear and sorrow/ Smile and maybe tomorrow/ You’ll find that life is still worth while/ If you just … Sorridi, anche se il cuore ti duole/ sorridi, anche se si sta spezzando/ quando ci sono nuvole nel cielo/ ci passerai sopra/ se sorridi attraverso/ la tua paura e al dolore/ sorridi e forse domani/ scoprirai che la vita vale ancora/ la pena di essere vissuta/ se tu solo sorridi
Un magnifico Joaquin Phoenix che, con il suo portamento ambiguo, leggero, coreografico, accattivante, poteva essere il solo capace di dare anima autentica  a Joker, tant’è che grazie a ciò il regista Todd Phillips ha usato la macchina da presa per scavare profondamente nel suo volto da cui ne ha estratto le inquietudini, i turbamenti e le continue afflizioni. Nel contempo, il regista ha usato il linguaggio cinematografico come metafora, al fine di ottenere un effetto maggiore rispetto al linguaggio esplicito, per descrivere in modo eccellente e incisivo la situazione sociale degradata e piena di cattiveria in cui versano i paesi post-industriali.
Joker ha vinto il Leone d’oro per Migliore film alla 76^ Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2019.
Filmografia
Road Trip (2000), Old School (2003), Starky & Hutch (2004), Scuola per canaglie (2006), Una notte da leoni (2009), Parto col folle (2010), Una notte da leoni 2 (2011), Una notte da leoni 3 (2013), Trafficanti (2016). 
Francesco Giuliano